Non si può dire che le elezioni presidenziali americane non fossero attese con ansia da tempo, resta da capire come l’Unione Europea vi si sia preparata e in quali condizioni sia giunta a questo appuntamento.
Già l’UE aveva sperimentato, almeno dai tempi di Obama, che il vento stava cambiando tra le due sponde dell’Atlantico; il partenariato tra i due Occidenti resisteva ma doveva fare i conti, da una parte, a nord, con il ritorno sulla scena mondiale della Russia di Putin, nostalgica del suo passato e, dall’altra, con la progressiva emergenza ad Oriente non solo della Cina ma, su tempi più lunghi, anche dell’India. Come dire che il baricentro delle potenze mondiali si andava spostando dall’Atlantico all’Indo-Pacifico, lasciando scivolare la vecchia Europa ai margini degli interessi Usa. E non avrebbe aiutato che, in uno scenario come questo, proprio l’Unione Europea finisse sotto la pressione di due guerre ai suoi confini, in Ucraina e nel Medio Oriente.
Nel primo caso il partenariato USA-UE ha retto con una relativa compattezza sotto l’ombrello della NATO a guida statunitense, anche se col tempo si è andato indebolendo il sostegno dell’opinione pubblica di entrambi i partner; non è andata così rispetto al conflitto israelo-palestinese nel quale sono emersi chiaramente interessi diversi tra le due sponde dell’Atlantico, divergenze ulteriormente aggravate dalle divisioni tra i governi UE, in particolare con la Germania paralizzata dal ricordo della Shoah e in assenza di una capacità di sintesi da parte delle Istituzioni UE.
Non che di questo malessere nelle relazioni transatlantiche non ci fossero già dei chiari segnali prima, a cominciare dalla presidenza di Donald Trump, nel 2017-2021, che aprì provvisoriamente gli occhi ai sonnolenti leader europei, come alla Cancelliera Angela Merkel che, di ritorno da Washington, già nel 2017 dichiarò, a proposito della sicurezza europea che “noi europei dobbiamo prendere il futuro nelle nostre mani”, invocando la creazione di un esercito europeo.
E’ del 2019 la denuncia di Emmanuel Macron sulla “morte cerebrale della NATO”, con la richiesta di sviluppare un’autonomia strategica europea in seno all’Alleanza atlantica. Nel frattempo – ma sono passati da allora molti anni – l’Unione Europea ha lasciato molta parte del suo futuro nelle mani degli USA, sempre più in affanno, e la NATO ha ripreso vita nella guerra a fianco dell’Ucraina, senza che l’UE sviluppasse una sua “autonomia strategica” e avviasse uno straccio di politica comune della difesa.
Adesso, alla vigilia di una svolta, comunque già in corso, nell’atteggiamento degli USA verso l’UE eravamo con il fiato sospeso come fossimo di fronte ad un’imprevedibile novità.
Non è una novità che si allarghi l’oceano Atlantico, come dal 2020 si è allargata la Manica, mentre dentro l’Unione si sono allargate le distanze tra i Paesi membri, a cominciare dalla crisi del “motore franco-tedesco” fino alla diffusione di movimenti nazional-populisti pronti a dare una mano ai governi conservatori, oggi 14 su 27, con qualcuno particolarmente pronto a correre alla corte di “the Donald”.
Adesso che sappiamo che sarà Trump il futuro inquilino della Casa Bianca, sappiamo anche che avrà partita facile nei suoi rapporti di forza con l’UE, esposta per la sua sicurezza e per le sua precarie condizioni economiche sulle quali incombe la tagliola dei dazi.
Ma più ancora perché c’è comunque da aspettarsi che dall’altra parte dell’Atlantico avranno buon gioco a privilegiare i rapporti bilaterali con i Paesi UE, in nome dello sperimentato “divide et impera” e non sarebbe difficile già anticipare la lista dei governi europei disponibili a tentare di far prevalere bilateralmente i propri interessi nazionali immediati, piuttosto che quelli più complessi e meno redditizi in termini di consenso, come quelli dell’UE. E non è nemmeno difficile tratteggiare la lista delle rispettive derive, dalle politiche migratorie a quelle ambientali, sempre meno tutelate anche dall’Unione e Europea, con grandi rischi per quello che resta dello Stato di diritto.
Non è una prospettiva incoraggiante, ma è anche l’occasione per capire se l’Unione Europea esiste ancora ed è in grado di evitare il rischio di quella “agonia” evocata dal “Rapporto Draghi”.