Il risultato del voto presidenziale americano sembra cogliere incredibilmente di sorpresa l’Unione Europea, che pure Donald Trump avrebbe dovuto imparare a conoscerlo fin dalla sua prima presidenza dal 2017 al 2021, così come dovrebbe aver capito fin dai tempi ormai lontani di Barack Obama che l’Unione Europea era diventata per gli USA un alleato che aveva perso importanza e credito.
Lo stiamo riscoprendo adesso e speriamo che valga il “meglio tardi che mai”, nella speranza che finalmente l’UE trovi il coraggio di prendere in mano il suo destino e onorare la sua storia, quella dello straordinario progetto di integrazione europea e di pacifica riunificazione continentale, in molta parte realizzato, nei suoi oltre settant’anni di vita, ma ancora pericolosamente incompiuto e oggi di nuovo minacciato da forze nazional-populiste pronte a correre alla corte del “vecchio” nuovo presidente USA.
Come andrà cominceremo a capirlo presto, già venerdì prossimo, quando a Budapest, ospite un raggiante Viktor Orban, si riuniranno i Capi di Stato e di governo europei e non potranno evitare di posizionarsi sui futuri rapporti transatlantici e sul futuro dell’Unione Europea. Coincidenza vuole che a Budapest ci sia anche Mario Draghi, che a settembre scorso aveva lanciato un allarme sul rischio di “agonia” per l’Unione Europea, se non si risvegliava da un lungo sonno e non adottava iniziative coraggiose per difendere la sua libertà, non solo dalla Cina ma anche dagli Stati Uniti.
E’ venuto il momento, ed è adesso, di decidere il futuro del progetto europeo, la sua capacità di darsi una politica comune della difesa, di non arretrare sulla politica ambientale, di non tradire i suoi valori fondativi di solidarietà ed accoglienza, compreso nei confronti dei migranti, salvaguardando lo stato di diritto messo a dura prova in troppi Paesi del mondo, tra i quali non pochi nostri vicini e, addirittura, qualcuno in casa nostra.