Unione Europea 2013: un bilancio modesto

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Molti i problemi sul tavolo dell’Unione Europea nel 2013, poche le soluzioni, molte quelle rinviate.

Già questo dà la misura di un bilancio modesto, quando non negativo. Una delle spiegazioni viene dalle dimensioni dei problemi sul tappeto e dal contesto internazionale non sempre favorevole. Altre spiegazioni è più corretto cercarle dentro a questa Europa, con governi fragili o miopi e con istituzioni comunitarie ormai inadeguate per governare un’Europa con 28 Paesi, diversi per storia, cultura, condizioni economiche e sociali.

Che dentro questa crisi molti governi abbiano rivelato tutta la loro fragilità nel cercare una soluzione prevalentemente su politiche di risanamento e non di crescita è sotto gli occhi di tutti, degli italiani in particolare.

Chi governava in condizioni economiche e sociali migliori ha badato ai propri interessi nazionali e, come nel caso della Germania, ha puntato ad aggiudicarsi il consenso nelle competizioni elettorali, per non mancare una vittoria a portata di mano, rischiando che a termine possa rivelarsi una vittoria di Pirro.

Purtroppo in questo clima non sono riuscite a fare molto le istituzioni comunitarie, con l’eccezione della Banca centrale europea (BCE) che ha continuato a esercitare una supplenza ormai ai limiti dei suoi compiti statutari, sorvegliata da vicino dalla Corte costituzionale tedesca.

Il Parlamento europeo, ormai in scadenza, ha provato ad alzare la voce in occasione dell’adozione del miserabile bilancio UE 2014, con risultati modesti.

Sulla Commissione europea, un gigante tecnocratico e nano politico, meglio non infierire in attesa che se ne vada il suo Presidente, Manuel Barroso, lasciando si spera il posto a qualcuno più grintoso di lui.

Ma la grande responsabile della paralisi europea è l’istituzione che detiene il potere maggiore, quel Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo, che non ha perso occasione per tergiversare su temi urgenti e, talvolta, drammatici.

Ne è stato un esempio chiaro l’ultimo Vertice di metà dicembre scorso. All’ordine del giorno quattro temi di grande rilievo: la politica di sicurezza e di difesa comune, la politica economica e sociale, l’unione economica e monetaria (si legga “unione bancaria”) e l’immigrazione.

Se un giorno i mezzi di informazione disponessero di sufficiente spazio, potrebbero offrire ai propri lettori il testo integrale delle Conclusioni del Consiglio europeo: la lettura di quelle 25 pagine rivelerebbe ai più volenterosi quale sia la melassa di parole che avvolge quei temi.

Sulla politica di sicurezza e difesa una sola cosa si capisce chiaramente: gli europei devono coordinarsi per rafforzare la propria industria militare. Sulla politica economica e sociale un profluvio di buone intenzioni e la decisione di dotarsi di indicatori comuni per misurare il disagio sociale. Qualcosa – e anche molto – di più a proposito dell’unione bancaria, unico tema dove si sono fatti passi importanti, anche se molto meno di quanto sarebbe urgente fare, subito e non fra qualche anno.

Sull’immigrazione, dopo le tragedie di Lampedusa, dicembre era stato annunciato come il termine per decisioni operative: sull’argomento il Consiglio europeo “riafferma che è determinato a ridurre il rischio di vedere nuove tragedie di questo tipo riprodursi in futuro” e annuncia che “ritornerà sulla questione dell’asilo e delle migrazioni in una prospettiva più larga e a più lungo termine in occasione della sua riunione di giugno2014”.

Parole, e ancora parole, che rischiano di portare acqua al mulino dei populismi che stanno minacciando il futuro dell’Europa.

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