Un Consiglio europeo per fare cosa?

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Fa una certa impressione essere a Bruxelles mentre si conclude l’ennesimo Vertice anti-crisi, scorrere la stampa internazionale piuttosto sobria sull’argomento e poi aprire il più diffuso quotidiano italiano – quello che una volta era la voce relativamente libera della borghesia imprenditoriale – e scoprire che tutto quello che ha da dire, nella sua edizione di sabato scorso, lo spara con un titolone a tutta pagina che dice testualmente: «Berlusconi: il piano casa piace all’Europa». Un piacere che dev’essere colpevolmente sfuggito alle altre testate europee dove dell’argomento non si trova traccia e viene il sospetto che da noi, riflessi provinciali e propaganda non muoiano mai, nemmeno nel pieno di una crisi nera come non si conosceva da sessant’anni.
Una crisi economica che, ancora in questi giorni, tutte le Agenzie internazionali, dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) passando per l’OCSE fino alle stesse istituzioni europee, descrivono con numeri di crescente gravità  , in particolare per quanto riguarda la caduta della crescita e l’esplosione della disoccupazione. Già   oggi la disoccupazione viaggia verso una percentuale a due cifre, con la Spagna vicina al 16% e il timore che a fine anno i disoccupati in Europa possano essere 25 milioni.
A Bruxelles comincia a diffondersi l’impressione che i capi di Stato e di governo stiano diventando, settimana dopo settimana, notai impotenti che registrano frane annunciate, prima esorcizzate in nome dell’ottimismo che fa bene al mercato e poi registrate senza troppo dar nell’occhio, passando a parlare d’altro.
Così, il Consiglio europeo del 19-20 marzo scorsi ha continuato a preparare il G20 di inizio aprile a Londra, rinviando ad un mini-vertice a Praga a maggio il tema dell’occupazione. Non senza perಠadottare alcune decisioni significative con la destinazione di 5 miliardi di euro ancora disponibili per le infrastrutture energetiche e di alcune altre decine di miliardi per contribuire alla difficile stabilità   dei Paesi UE dell’Europa centrale e orientale e di altri Paesi in difficoltà  .
Al di là   degli importi messi a disposizione, raschiando il fondo dei cassetti, per i partner europei – 50 miliardi di euro – e per aumentare con altri 75 miliardi la dotazione del FMI, chiamato a vegliare sulla stabilità   finanziaria internazionale, è importante leggere il significato di queste due decisioni.
La prima per recuperare una credibilità   interna dopo il «no» di inizio marzo ai Paesi UE dell’Europa centrale e orientale – in particolare Ungheria, Lettonia e Romania – e ristabilire così un patto di solidarietà   tra i Ventisette; la seconda per essere presentabili ad inizio aprile alla riunione del G20, quando l’UE incontrerà   per la prima volta Obama che da tempo sollecita dall’Europa uno sforzo maggiore per rispondere alla crisi.
àˆ questo anche il segnale che, in una crisi globale come l’attuale, si va profilando una nuova mappa del «governo» dell’economia con gli USA, reduci da un passato disastroso, ma determinati a ritornare al comando, attraverso un confronto multilaterale di cui il FMI resta, ad oggi, uno strumento essenziale.
Qualcosa di importante sta cambiando per l’UE e per il suo ruolo, non solo nel mondo, ma anche sul nostro stesso continente. Molte cose muteranno con questa crisi, dai nuovi assetti produttivi all’esigenza di avere pronte nuove e più preparate risorse umane per rilanciare l’economia, dalla centralità   distruttiva della finanza alla ripresa di un autentico protagonismo politico in grado di orientare l’economia e salvaguardare la cultura di un’«economia sociale di mercato».
Meglio accorgersene subito e prendere le misure che si impongono se non vogliamo essere spinti verso la «periferia» del mondo, magari accontentandoci di vantare il nostro discutibile «piano casa».

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