Turbolenze mediterranee ed Europa

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Dopo la partenza di Ben Alì in Tunisia, anche il presidente Hosni Mubarak ha lasciato il potere in Egitto. Ci sono volute circa tre settimane di intensa e civile protesta da parte della popolazione, perchà© il Rais se ne andasse, lasciando all’esercito la difficile transizione verso un nuovo regime che, si spera, sarà   rispettoso delle richieste democratiche di tutto un popolo, ancora inquieto sull’esito finale della vicenda.
Il potere, nelle mani ora di un Consiglio supremo delle forze armate, formato da una ventina di generali, ha già   fatto le sue prime mosse in risposta ad alcune delle richieste dei manifestanti: ha sciolto il Parlamento, ha sospeso la Costituzione e ha istituito una Commissione per l’organizzazione di un referendum sugli emendamenti previsti alla Costituzione stessa. Non solo, ha anche confermato l’impegno di una transizione pacifica verso un potere civile eletto entro sei mesi e di rispettare i Trattati internazionali firmati dall’Egitto, in particolare gli accordi di pace con Israele. Un messaggio, quest’ultimo, di particolare rilievo, tenuto conto del ruolo geostrategico e del peso dell’Egitto nella stabilità   regionale.
Ma il forte vento della rivolta che ha iniziato a soffiare nel Mediterraneo non si ferma.
In Algeria, dopo alcune manifestazioni a gennaio per denunciare le difficili condizioni di vita, la protesta è tornata in piazza per rivendicare anche democrazia e diritti. L’Algeria è un Paese ricco, con importanti giacimenti di gas e petrolio, senza praticamente debito estero, con enormi riserve di cambio. Ma gli algerini hanno sempre denunciato la loro povertà  . Abdelaziz Bouteflika è al potere dal 1999, un potere che esercita all’ombra delle forze armate, dei servizi di sicurezza e con uno stato di emergenza instaurato fin dal 1992.
Le proteste continuano anche nello Yemen, dove migliaia di studenti, avvocati e magistrati sono scesi in piazza contro il presidente Alì Abdallah Saleh, al potere dal 1978 con il sostegno dell’esercito. Altre manifestazioni hanno luogo in Giordania e in Barhein, con la richiesta di un cambiamento di regime; in Siria, dove alcuni manifestanti, nel tentativo di esprimere la loro solidarietà   con il popolo egiziano, sono stati pesantemente repressi dalle Forze dell’ordine.
Anche in Iran l’opposizione è in fermento. Il Movimento verde, che dopo le manifestazioni del 2009 contro l’elezione di Ahmadinejad era stato ridotto al silenzio, è sceso di nuovo in piazza per sostenere la lotta del popolo egiziano «contro la dittatura». Teheran ha fatto ricorso a tutti i mezzi per bloccare le manifestazioni: ad oggi si contano due morti e oltre un migliaio di arresti e nuovi bavagli sono stati messi all’opposizione che minaccia la sopravvivenza del regime.
Nelle ultime ore turbolenze si segnalano in Libia, dove il regime dittatoriale di Gheddafi dura ormai da quarant’anni, avvalendosi anche di rapporti politici ed economici non proprio limpidi con l’Italia.
Nessuno oggi mette più in dubbio che le turbolenze nel Mediterraneo abbiano una portata storica e si iscrivano nel rifiuto, da parte delle popolazioni, delle dittature e nella richiesta di democrazia, di stato di diritto, di libertà   di espressione e di migliori condizioni di vita. La caduta di due trentennali dittature è stata resa possibile solo grazie alla tenacia e alla volontà   della gente, senza interventi o sostegni provenienti dall’esterno. àƒÆ’à¢â‚¬° una pagina di storia che prima o poi doveva essere scritta e che ha sorpreso anche per l’assenza, almeno per ora, di contrapposizioni con l’Occidente. àˆ un aspetto importante che l’Europa dovrebbe cogliere per ripensare e affrontare le sue future relazioni con i Paesi dell’area, se effettivamente crede che la stabilità   di una regione così sensibile possa passare anche attraverso il sostegno ad ancor fragili, e tuttora a rischio, boccioli di democrazia.
Fragili e a rischio come dimostra in questi giorni la Tunisia. A un mese dalla partenza di Ben Alì, l’incertezza e la disorganizzazione del nuovo potere hanno spinto migliaia di tunisini a prendere la via dell’emigrazione e a sbarcare a Lampedusa, il punto più vicino all’Europa. La richiesta di aiuto lanciata dalle autorità   italiane all’Europa, nonchà© il dito puntato da queste contro l’indifferenza dell’Europa, suggeriscono alcune riflessioni.
Due, più generali: la prima, sulla scarsa attenzione dell’UE all’area mediterranea, come testimonia il binario morto su cui è finito prima il «processo di Barcellona» e poi il progetto francese di un’Unione per il Mediterraneo; la seconda, sul ridotto impegno dell’Italia in Europa e la progressiva caduta di credibilità   del nostro governo, precipitata fragorosamente in questi ultimi tempi.
Quanto poi alla politica dell’immigrazione, sempre molto sensibile, va ricordato che, nel suo insieme, resta di responsabilità   dei governi nazionali. Il trasferimento di responsabilità   verso l’UE è sempre stato fortemente ostacolato da buona parte degli stessi Stati membri e, in essi, da parte di alcuni partiti come, in Italia, proprio da quella Lega Nord che adesso accusa l’Europa di lasciarci soli. àˆ soltanto con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, nel dicembre 2009, che si intravede la possibilità   di una futura politica comune dell’immigrazione e di asilo.
Ma al di là   delle richieste, delle accuse o delle dichiarate disponibilità   della Commissione Europea a sostenere l’Italia in questa “emergenza umanitaria”, i soli strumenti disponibili oggi a livello europeo sono il sistema di pattugliamento delle frontiere esterne, attraverso l’agenzia Frontex, e un sostegno economico di emergenza a fronte di proposte concrete di intervento da parte del governo italiano.
Poco in confronto a quello che sta succedendo sulle rive a sud del Mediterraneo, che chiama l’Europa – e con essa l’Italia – a un nuovo dialogo, a nuove politiche e a nuove responsabilità   verso il Mediterraneo.

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