Turbolenze ai confini dell’Europa nel 2015

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Anche il 2015 si avvia ad essere ormai “passato”, lasciando in eredità un futuro più che mai incerto ed inquietante sul versante della pace e delle guerre, dei flussi migratori e del rispetto dei diritti umani, del clima e delle sue già visibili conseguenze sul Pianeta e sulla vita delle sue popolazioni. L’Europa, sempre più fragile per affrontare il suo cammino interno di costruzione politica, sociale ed economica, è ulteriormente indebolita dalle forte pressioni alle sue frontiere, sia a quelle orientali che a quelle a sud del Mediterraneo.

A Sud del Mediterraneo

Guerra e pace: un terrorismo diventato Stato

Il 2015 si è caratterizzato, in particolare, dal rafforzamento di Daesh, il quale, per la prima volta, attraverso la guerra in Siria e in Iraq e un terrorismo su vasta scala geografica, si autoproclama uno Stato. Laddove conquista terre, impone la sua legge, la Sharia, amministra e riscuote le tasse, governa con ferocia. Con l’obiettivo di ricostruire l’antico Califfato sunnita, la sua guerra insanguina, con il terrorismo, non solo la regione lungo la linea di divisione fra sunniti e sciiti, ma spinge i suoi tentacoli fino al cuore dell’Europa, andando a colpire, fra altri, anche simboli di libertà, di diritti e di cultura. L’anno si apre infatti con gli attacchi terroristici a Parigi che hanno ucciso e cancellato le penne satiriche di “Charlie Hebdo”; il terrorismo è continuato in Tunisia, con l’attacco al museo del Bardo in marzo e quello sulle spiagge di Sousse in giugno; colpisce in Egitto con l’abbattimento di un aereo civile russo nel Sinai, passa per Beirut in novembre contro una roccaforte sciita degli Hezbollah e ritorna infine a Parigi con le recenti stragi del 13 novembre scorso. E’ una lista di attacchi non esaustiva, perché la follia terroristica non ha risparmiato nemmeno il Nord e il cuore dell’Africa.

La forza del sedicente Stato islamico si è sviluppata anche attraverso un sofisticato sistema di perversa comunicazione in rete, che ha avuto effetti di grande seduzione su giovani europei, in particolare di origine maghrebina. Una questione delicata, che ha riportato con vigore l’attenzione dell’Europa anche sul tema dell’integrazione e sugli aspetti più intimamente legati al concetto di identità, alla parità dei diritti, al rispetto delle differenze culturali e religiose, alla costruzione di una società multiculturale.

La fuga dalle guerre, i profughi e i flussi migratori: la grande sfida per l’Europa

La guerra in Siria, il terrorismo e le sue propaggini nell’Africa hanno seminato morte, distruzioni, fughe disperate e un flusso migratorio senza precedenti verso i Paesi vicini e verso l’Europa. Nel 2015 sono giunti nella nostra Unione circa un milione di profughi e richiedenti asilo, che non hanno esitato a sfidare tutti i pericoli per attraversare quel breve tratto di mare che divide l’inferno dalla speranza. Giunti via mare dalla Libia o attraverso la nuova via dei Balcani, questa pressione alle frontiere esterne, ma anche interne, ha messo a dura prova la tenuta dell’UE, sotto tanti punti di vista: da quello della solidarietà fra Stati membri alla rimessa in discussione del sistema di Schengen e della libera circolazione delle persone, dalla crescita di aggressivi populismi alla costruzione di muri e di filo spinato per fermare i flussi di rifugiati e alla pericolosa tentazione di sospendere diritti fondamentali.

Un Medio Oriente in fiamme e teatro di nuovi ruoli delle potenze regionali e mondiali

La guerra in Siria, combattuta da quattro anni senza ripensamenti e con ferrea tenacia da parte del Presidente dittatore Bachar el Assad, sostenuto e tenuto in sella soprattutto dalla Russia e dall’Iran, è diventata con il passare del tempo la guerra contro il sedicente Stato islamico e contro il terrorismo. Questa progressiva trasformazione del conflitto, nato sulla scia delle Primavere arabe del 2011 come guerra civile, ha contemporaneamente cercato di modificare, agli occhi della comunità internazionale, la percezione del ruolo di Bachar el Assad nella lotta al terrorismo. Condannato senza esitazioni dall’Europa e dagli Stati Uniti, questi ultimi in prima linea di una coalizione internazionale formatasi nel settembre 2014, Bachar diventa principale punto di scontro con la decisa entrata in guerra della Russia in Siria nel settembre 2015. La proposta russa di formare una più grande coalizione regionale e internazionale per sconfiggere il terrorismo non manca infatti di mettere a nudo tutte le divisioni e le difficoltà di una simile prospettiva: a livello internazionale fra Russia da una parte e Stati Uniti e Europa dall’altra; a livello regionale e sempre sulla faglia tra sunniti e sciiti, tra Iran e Arabia Saudita. Senza contare le forti turbolenze provenienti dalla Libia, dallo Yemen, dall’Iraq e dal Sinai in Egitto.

L’accordo sul nucleare iraniano e il ritorno dell’Iran sulla scena internazionale

Proprio mentre la Russia scalda i motori per intervenire militarmente in Siria a fianco di Bachar al Assad, l’Iran conclude a Vienna, nel luglio 2015, uno storico accordo sulla sua produzione nucleare con il Gruppo dei 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna più Germania). Un accordo fortemente voluto dal Presidente Obama, sostenuto e mediato dall’Unione Europea e certamente salutato con una comprensibile e diplomatica discrezione dalla Russia. Nel contesto regionale che si era venuto a creare, dove continuano a intrecciarsi tutti gli interessi politici, economici, energetici e geostrategici, il ritorno sulla scena regionale ed internazionale dell’Iran, la maggiore potenza sciita, non è e non sarà cosa da poco, soprattutto se si considerano le zone su cui esercita buona parte della sua influenza, in particolare su Siria, Iraq, Libano e Yemen. L’accordo raggiunto a Vienna non aveva quindi solo l’obiettivo di impedire che il programma nucleare iraniano sfociasse in un programma militare, ma aveva anche quello di impedire, visto il contesto estremamente instabile e pericoloso, la proliferazione nucleare in Medio Oriente. Il tempo dirà se questo accordo verrà rispettato e quanto siano fondati i timori Israele, unico Stato a possedere l’arma nucleare nella regione, ma anche delle potenze sunnite, Arabia Saudita in testa.

La deriva integralista e il ruolo ambiguo della Turchia

Sullo scacchiere mediorientale anche la Turchia, Paese dalla posizione strategica tra Oriente e Occidente, sunnita e membro della NATO, malgrado un persistente atteggiamento molto discreto e ambiguo nei confronti della lotta al terrorismo, nel 2015 è stata sotto i riflettori dell’attualità per il suo nuovo protagonismo politico interno, nella regione e per i suoi rapporti con l’Unione Europea. Il Presidente Erdogan, dopo aver perso a giugno e riconquistato a novembre la maggioranza assoluta per il suo partito, incurante dei movimenti d’opposizione interna, specialmente quella pro curda e deciso ad esercitare un potere fortemente autoritario che coniuga nazionalismo, islamismo e sospensione delle libertà e dei diritti fondamentali, entra in gioco sulla scena mediorientale con obiettivi che vanno ben al di là della lotta al terrorismo del sedicente Stato islamico. In primo luogo, il timore della formazione di un Kurdistan alle sue frontiere, lo porta a sospendere quel fragile processo di pace iniziato con i curdi del PKK (Partito dei lavoratori curdi), includendoli nella sua “lotta al terrorismo”. In secondo luogo, cosciente dell’importanza geostrategica del suo Paese per quanto riguarda l’afflusso di rifugiati e il loro transito verso l’Europa, Erdogan non ha esitato a chiedere all’Unione Europea, in cambio di una nuova cooperazione, la riapertura dei negoziati d’adesione. Un modo per garantire una presunta legittimità interna ed internazionale al suo Governo e alla sua politica, visto che la prospettiva di un’adesione della Turchia all’Unione Europea appare sempre più irrealistica.

Infine, l’entrata in scena della Turchia nel complesso scenario mediorientale ha innescato, con l’abbattimento di un aereo militare russo, una forte tensione fra Russia e Turchia, complicando ulteriormente un coerente disegno internazionale nella lotta contro il terrorismo. Questa tensione infatti corre anche sull’onda dei rapporti fra Russia e NATO, di cui la Turchia è un importante membro.

La diplomazia al lavoro

In questo esplosivo groviglio di guerre e terrorismo, di interessi politici, economici ed energetici in continuo movimento, la diplomazia internazionale sembra aver avuto finora ben pochi spazi di manovra. Nell’area, in questo 2015, due sono tuttavia le iniziative sulle quali è possibile fondare qualche briciola di speranza. In primo luogo sulla Siria, visto che dopo quasi cinque anni di guerra e per la prima volta, il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha approvato all’unanimità (in passato Russia e Cina si sono sempre opposte ad una qualsiasi risoluzione che condannasse il dittatore Bachar), una risoluzione che chiede il cessate il fuoco e dà avvio ad urgenti negoziati di pace a partire dal gennaio 2016. Il processo di pace dovrebbe prevedere “un governo di transizione credibile e inclusivo entro 6 mesi”, gettare le basi di una nuova Costituzione e “convocare elezioni libere e giuste entro 18 mesi.” Tutti i siriani devono poter partecipare alle elezioni, anche coloro che sono fuggiti dal conflitto. Nessuno immagina che tale processo sia di facile percorso, soprattutto perché la grande incognita rimane il ruolo e il futuro del Presidente Bachar el Assad.

Il secondo tentativo diplomatico riguarda la Libia, un Paese in preda al caos politico, diviso in due, attraversato da tutti i possibili traffici e importante punto di partenza dei disgraziati viaggi dei profughi verso l’Europa. Il 17 dicembre scorso, a Skhirat, in Marocco, i delegati del Congresso di Tripoli e quelli della Camera di Tobruk hanno firmato l’accordo per la creazione di un “governo di accordo nazionale”, seguendo il piano proposto dalle Nazioni Unite. Un fragilissimo passo verso la pacificazione del Paese dopo quasi due anni di guerra civile, e dove la presenza del sedicente Stato islamico continua ad espandersi. Ed è proprio per la presenza in Libia di Daesh che un progetto di intervento militare da parte delle potenze occidentali, compresa l’Italia, è all’ordine del giorno.

I conflitti nell’ombra o in sordina

Nella polveriera mediorientale e dintorni, vi sono altri conflitti in corso, come ad esempio in Yemen o in Afghanistan. Il più antico conflitto tuttavia mai risolto è quello che coinvolge Israele e Palestina. Al momento non vi sono prospettive per la ripresa di un dialogo di pace che porti alla creazione di due Stati e garantisca un futuro dignitoso alle giovani generazioni palestinesi.

A Est dell’Europa

Abbandonando le frontiere meridionali dell’Europa e rivolgendo lo sguardo verso quelle orientali, ci si accorge che la grande minaccia di una guerra in Ucraina, con la Russia a fianco dei separatisti delle province orientali, sembra ormai placata. Gli interessi di Mosca, malgrado le sanzioni economiche prorogate a dicembre di altri sei mesi da parte dell’unione Europea, sono ormai rivolti essenzialmente verso Damasco e verso il perenne sogno di uno sbocco nei mari caldi.

Le sfide future

Questo veloce sguardo ai confini dell’Europa mette in inquietante evidenza le sfide che si presentano a breve e a lungo termine. Sono sfide enormi, che richiedono all’Unione Europea unità, coraggio politico, vedute strategiche a lungo termine e una politica estera e di sicurezza comune. Si tratta infatti di ricostruire una difficilissima pace alle frontiere, di frenare la cieca violenza del terrorismo che, oltre a seminare sofferenze, fughe e morte, cambia i parametri geopolitici esistenti non solo nella regione, ma anche a livello internazionale; si tratta poi per l’UE di decidere se difendere ancora quei valori che l’hanno vista crescere in settant’anni di pace: i valori di solidarietà, di rispetto dei diritti fondamentali, dello stato di diritto nell’accoglienza e nel trattamento dei rifugiati e dei richiedenti asilo.

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