Trump dichiara guerra al pianeta

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Si conferma ogni giorno di più l’allarme lanciato da papa Francesco sulla “terza guerra mondiale a pezzi”, in corso ormai da tempo e oggi in forte accelerazione. Per convincersene basta prestare attenzione alle decisioni sciagurate del presidente Trump, quelle già adottate e quelle imminenti.

È una guerra scatenata su parecchi fronti, da quelli territoriali a quelli commerciali e, per completare il tutto, con la recente dichiarazione di guerra al pianeta.

Per scaldare i muscoli Trump aveva cominciato spostando pezzi importanti della sua marina militare nel mar del Giappone a contrastare le follie della Corea del Nord, poi è stata la volta della “madre di tutte le bombe” in Afghanistan, per finire con inquietanti rischi di conflitti presenti e futuri in Medioriente, dopo la confermata alleanza con Israele e il sostegno al riarmo dei sunniti in Arabia Saudita contro l’Iran.

È servita a poco all’apprendista stregone l’esperienza del G7 a Taormina e l’incontro con papa Francesco a Roma dove si è reso evidente l’isolamento di Trump e la dichiarata diffidenza della filo-transatlantica di Angela Merkel.

In quell’occasione sembrava essersi profilata una tregua, almeno per il futuro del commercio internazionale minacciato dal protezionista Trump e per le sorti del pianeta minacciato dal surriscaldamento climatico. Una tregua che in quest’ultimo caso non è durata a lungo, come rischia di non durare a lunga quella del rafforzamento delle frontiere commerciali.

La decisione di Trump di tradire l’accordo di Parigi, raggiunto faticosamente da 195 Paesi nel dicembre 2015, ha sollevato una corale ondata di condanne da attori internazionali importanti, a cominciare dall’Unione Europea, ma non solo. Immediata è stata la reazione di Angela Merkel, cui si sono associati rapidamente Emmanuel Macron e Paolo Gentiloni; non si è fatta aspettare la risposta dei Vertici dell’UE a nome dei Paesi membri, che hanno denunciato il grave “errore” di Trump. Si sono fatti sentire anche Paesi come il Canada, l’Australia, l’Africa del Sud e persino Theresa May dall’amica Gran Bretagna. Più sorprendente la condanna della Cina, primo Paese inquinatore del mondo (il secondo sono gli USA) e, con qualche ambiguità, anche la Russia. Non è stato per nulla ambiguo il portavoce vaticano, certo deluso di quanto poco Trump avesse ricavato dal suo incontro con papa Francesco.

Che cosa accadrà adesso è ancora presto per dirlo. Per ora il fronte di quanti hanno a cuore la sopravvivenza del pianeta sembra tenere, anche se la giravolta di Trump non sarà senza conseguenze. Ma alcune di queste sono anche positive, sia in Europa che negli Stati Uniti. Oltre Atlantico non si contano le mobilitazioni popolari e le iniziative istituzionali di città e Stati federati, come la California, e di multinazionali importanti che avvertono rischi importanti per il loro sviluppo futuro e non solo nel settore delle energie alternative. Il fatto che all’indomani della decisione di Trump la borsa americana abbia festeggiato testimonia solo della tendenza dei mercati a incassare dividendi immediati, al futuro penserà chi viene dopo.

Molto positive per ora le reazioni dell’Unione Europea che, non solo ha deciso di andare avanti nel rispetto dell’Accordo di Parigi, ma sta ritrovando compattezza e grinta, per nulla fiaccata dalla secessione britannica e dalle mattane di Trump. Si profilano all’orizzonte giorni interessanti, anche se difficili, per quanti credono nel rilancio del progetto europeo. Ora più urgente e indispensabile che mai.

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