Trattato del Quirinale e integrazione europea

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Sono complesse le relazioni internazionali, non solo quelle protette dalla discrezione dell’azione diplomatica, ma anche quelle regolate da accordi formali e trattati pubblici. Il tema diventa ancora più complesso quando si tratta dell’Unione Europea, alle prese sia con  Trattati comunitari che con  Trattati e Accordi internazionali e bilaterali. 

E’ comunitario il Trattato di Lisbona, attualmente in vigore, che impegna tutti insieme i 27 Paesi dell’UE; sono Trattati internazionali quelli che coinvolgono Paesi,  senza generare procedure e vincoli comunitari, come nel caso del “Fiscal pact” (Patto di bilancio) sulla sostenibilità delle finanze pubbliche, sottoscritto nei 2012 dai Paesi UE, senza la partecipazione di Regno Unito, Croazia e Repubblica ceca. E’ un Trattato bilaterale quello tra la Francia e la Germania, firmato nel 1963 e aggiornato a inizio 2019 tra Angela Merkel e Emmanuel Macron, con l’obiettivo di coordinare le rispettive politiche e rafforzare la loro leadership in seno all’Unione Europea.

Appartiene a quest’ultimo genere di Trattati quello firmato da Italia e Francia il 26 novembre, che dovrebbe prendere il nome di “Trattato del Quirinale”. I suoi contenuti richiamano in parte quelli del patto franco-tedesco e rispondono ad obiettivi simili, tenuto conto tuttavia delle diversità dei rapporti tra i tre Paesi in questione, nel corso della storia recente, e del diverso ruolo e peso politico di ciascuno di questi Paesi all’interno dell’Unione Europea. 

Diverso è anche il contesto politico in cui si colloca l’accordo tra Italia e Francia, in una fase particolarmente delicata della vita dell’UE, segnata dalla persistenza di movimenti nazional-populisti, dall’atteso insediamento del nuovo governo tedesco entro l’anno e dalla vigilia delle elezioni presidenziali in Francia il prossimo maggio, senza dimenticare l’attuale particolare congiuntura politica italiana che vede Mario Draghi alla guida del governo e la probabile uscita di scena di un Presidente europeista come Sergio Mattarella.

Già la storia di questo negoziato non è banale. I contatti in vista del “Trattato del Quirinale” erano stati avviati dal governo Gentiloni, praticamente sospesi durante il governo giallo-verde di Conte e Salvini per essere ripresi dall’attuale governo, anche se non con la stessa intensità e impegno da parte di tutte le componenti della maggioranza. 

Negli schieramenti della destra politica italiana infatti il futuro Trattato del Quirinale è visto come una ulteriore rinuncia alla sovranità nazionale con la prospettiva di una subordinazione dell’Italia alla Francia e ai suoi interessi economici e geopolitici.

Del Trattato altre forze politiche hanno una visione diversa, ritenendolo un passo avanti in quella  “cooperazione rafforzata” che si va profilando tra i Paesi UE a prevalente vocazione federalista, in vista di una più avanzata integrazione economica e politica. L’obiettivo è quello di una più forte cooperazione tra i due Paesi sulle politiche industriali, finanziarie e commerciali e per un coordinamento, finora assente, nelle aree di conflitti come nel caso della Libia e di Paesi africani minacciati dal terrorismo.

Sarà interessante vedere come questo Patto, congiuntamente a quello che la Francia ha rinnovato con la Germania, potrà fare da perno alle future politiche europee, avvicinando  progressivamente il baricentro dell’Unione verso il Mediterraneo, in vista anche della revisione del Patto di stabilità che vedrà Francia e Spagna alleate con l’Italia nel contrastare nuove politiche di austerità. 

Per il governo di Draghi si tratta di un’ulteriore occasione per sottolineare l’orientamento europeista della sua componente progressista e per mettere all’angolo la sua componente sovranista, in cerca in Europa di alleanze ad est, molto controproducenti per l’Italia.  

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