Tragedia a Bruxelles, capitale d’Europa

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Si sprecheranno nei prossimi giorni le declamazioni dei politici europei per condannare gli attentati di Bruxelles, così come era capitato nel novembre scorso dopo l’assalto al Bataclan di Parigi. Sarà un coro di esecrazioni, accompagnati da critiche a chi avrebbe dovuto prevenire – gli altri, naturalmente – e da tardive proposte perché in futuro tutto ciò non accada più.

Tutti discorsi sentiti e risentiti, particolarmente fastidiosi dopo il massacro di Bruxelles, cuore stanco e malato di un’Europa che intanto stiamo lasciando agonizzare, incapaci come si sono dimostrati i governanti dei suoi Paesi membri di condividere un progetto solidale, in grado di assicurare coesione all’Europa, la sua presenza attiva nel mondo e un suo ruolo per promuovere la pace alle sue frontiere e accoglienza e inclusione al suo interno.

Quanto avvenuto a Bruxelles ce lo si poteva aspettare: la città, di fatto capitale di un’Europa fragile, è anche la capitale di un Paese, il Belgio, da anni in decomposizione per miopi guerre linguistiche che hanno contribuito a disorganizzare progressivamente uno Stato tutto meno che  unitario. Due crisi che si assomigliano e che hanno molto da insegnare all’indomani di un atto criminale provocato da assassini fanatici, ma che conoscono i molti punti deboli delle nostre democrazie.

I punti deboli del Belgio sono molti: dalla fragilità della sua economia a una insostenibile “generosità” del suo sistema sociale fino alla frammentazione istituzionale di comunità linguistiche che non dialogano fra loro. Del Belgio si comincia a dire che è uno “Stato fallito”, dimenticando che non è uno Stato, ma un puzzle di regioni costantemente in guerra tra di loro, incapaci oggi di affrontare, con i suoi disorganizzati presidi di sicurezza, una “guerra” insinuatasi sul suo territorio. Il Belgio ha anche dimostrato  una sua particolare “generosità” nell’accoglienza della popolazione immigrata: dopo aver riuscito l’integrazione di lavoratori italiani, spagnoli e portoghesi e un po’ meno quella degli immigrati turchi, sta facendo adesso i conti con la sovrabbondante –  oltre un quarto degli abitanti di Bruxelles – popolazione musulmana colpita, più delle altre comunità immigrate, dalla crisi e da una crescente marginalizzazione nelle periferie urbane. Si colloca in questo intreccio di problemi il terreno di coltura delle frange radicali islamiche, troppo spesso protette dalla comunità musulmana, forse moderata ma certamente troppo passiva nei confronti di fondamentalismi striscianti.

Altro, ma in parte simile, il discorso per l’Europa, bersaglio mirato dei fanatici islamici. Anche in questo caso un assetto istituzionale fragile e in progressiva decomposizione, una crisi economica lunga che non sembra vedere l’uscita da una pericolosa stagnazione, un disagio sociale crescente che colpisce larghi strati della popolazione europea e politiche del tutto inadeguate rispetto alle sfide cui l’Europa è confrontata.

Viene da lontano la vulnerabilità di questa Europa dalla quale qualcuno è tentato di uscire, come la Gran Bretagna, e altri di farne parte solo per avvalersi della sua discutibile generosità, come accade per Paesi quali la Polonia, l’Ungheria, la Repubblica Ceca e la Slovacchia. Ma l’Unione Europea è anche una comunità in dissoluzione, incapace al suo interno di coesione sociale e politica, con la Francia diventata, all’insaputa del suo pallido Presidente, una patetica “im-potenza mondiale” e la Germania, una media “potenza riluttante”, che esita a prendere l’iniziativa per rilanciare con forza il processo di integrazione europea.

In questo quadro desolante sta provando a muovere qualche ancor timido passo l’Italia, Paese fondatore e secondo Paese manifatturiero UE, con le sue recenti proposte per una strategia di riforme e la sua richiesta di creare una struttura antiterrorismo UE. Una proposta che arriva tardi e che non basta ad affrontare la radice di un problema la cui soluzione può venire solo da una accelerazione verso un’Europa politica federale, dotata di una politica estera e di sicurezza comune in grado di proteggerci e di una politica fiscale in grado di assicurare coesione e solidarietà per tutti quelli che in Europa abitano e lavorano.

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