Che il mondo del lavoro sia da tempo oggetto di sommovimenti e trasformazioni è sotto gli occhi di tutti. La crisi di questi anni ce ne ha consegnato un quadro devastante: in Europa la disoccupazione viaggia in molti Paesi su percentuali a due cifre, particolarmente drammatiche quelle dei giovani senza lavoro, quasi uno su due in Paesi come la Grecia, la Spagna e, pochi punti sotto, anche l’Italia.
In questi ultimi giorni è diventato evidente il fenomeno non proprio sorprendente dei “lavoratori poveri”, anche qui con percentuali sopra le due cifre: lavoratori che vivono sotto la soglia di povertà pur avendo un “regolare” contratto, uno dei tanti che nel tempo hanno incrementato il precariato, qualche volta con impieghi di poche ore e regolarmente sottopagati.
Per molti di quelli che hanno la “fortuna” di lavorare il problema è diventato quello dei salari troppo bassi o troppo tassati, che non consentono una vita dignitosa e non danno redditi sufficienti per la vita delle famiglie.
Un problema non solo europeo se, la settimana scorsa, ha fatto sensazione l’annuncio di Barack Obama di alzare negli USA, per i dipendenti di società appaltatrici del governo, il salario minimo a 10,10 dollari dai 7,25 attuali, spingendosi anche a evocare la possibilità di indicizzare gli stipendi sull’inflazione.
La decisione del Presidente americano ha provocato qualche brivido in Europa dove si registra un ventaglio molto differenziato del salario minimo, attorno ai 9 euro in Francia, Belgio, Olanda e Germania, ma meno di metà in Spagna, Grecia, Portogallo fino a scendere ai 2,21 euro in Polonia.
In Italia il salario minimo non è fissato per legge, ma dalla contrattazione tra le parti sociali che lo assumono come base per determinare il salario effettivo, determinato dalla contrattazione nazionale con integrazioni settoriali o aziendali, così come avviene negli altri Paesi europei a partire dalla soglia minima fissata per legge. Un meccanismo che alla fine comporta differenze salariali importanti. Per il costo finale del lavoro nel settore manifatturiero si va dai 34 dollari in Italia ai 45 in Germania, ai 40 in Francia fino ai 31 in Gran Bretagna che coincide con il valore medio nella zona euro.
La situazione però si complica quando si prendono in considerazione altre variabili che concorrono a determinare la produttività di un’impresa: dal costo dell’energia (quasi il doppio in Italia rispetto alla Francia) alle tasse sulle imprese (quasi il 30% in più rispetto all’area euro), dai tempi per risolvere conflitti commerciali (quasi il doppio dell’area euro) fino ai giorni necessari per l’allacciamento alla rete elettrica (124 in Italia contro i 17 in Germania). Numeri che aiutano a capire il fenomeno delle delocalizzazioni industriali e a valutare i pro e i contro nel conflitto salariale esploso nel nordest italiano con l’annuncio dell’Electrolux svedese di ridurre gli stipendi mensili da 1400 euro a 800, scaricando sul costo del lavoro l’esigenza di competitività e minacciando di trasferire gli impianti in Polonia dove il costo orario del lavoro è di 7 euro rispetto ai 24 in Italia.
Come si vede, problemi complessi dove è troppo semplice – e iniqua – la soluzione di fare pagare ai soli lavoratori un’inefficienza che affonda le radici in un sistema – Paese incapace di procedere sulla strada delle riforme, di rivedere la distribuzione dei carichi fiscali, riducendo il peso del cuneo fiscale in favore di imprese e lavoratori.
Del tutto improprio poi addossare – come qualcuno ha fatto – responsabilità all’Europa che non ha ricevuto dai suoi Stati membri alcun mandato per intervenire in materia salariale, anche se qualche considerazione andrebbe fatta sui differenziali di costi che possono derivare dall’appartenenza o meno all’area euro con i vincoli che ne conseguono, come nel caso di Italia e Polonia o dell’attrattiva Gran Bretagna nella vicenda dell’ex – Fiat e delle sue recenti “dislocazioni”.
Ma questa è un’altra storia, forse quella che sta alla radice di questa Unione sempre più asimmetrica e sbilenca alla quale sarebbe bene mettere mano al più presto.