Dopo le elezioni spagnole del luglio, quelle polacche di domenica scorsa erano, tra le consultazioni elettorali dei Paesi UE, quelle che più preoccupavano gli ambienti comunitari, in attesa del voto previsto in Olanda il 22 novembre prossimo. Non che non fossero importanti i voti nei Laender tedeschi la settimana scorsa e quelli in Slovacchia due settimane fa, entrambi con risultati non proprio incoraggianti per l’Unione Europea, ma era in Polonia che si sarebbe giocata la partita principale quest’anno per misurare il consenso al progetto di integrazione europea.
Da Varsavia sono arrivate buone notizie in singolare analogia con il voto spagnolo: in entrambi i casi hanno politicamente vinto i secondi arrivati e perso le destre estreme, aprendo alla possibilità di formare una coalizione di governo, anche se in entrambi i casi la strada per arrivarci sarà ancora lunga e in salita.
Per la Spagna non sono escluse nuove elezioni politiche a dicembre se i socialisti non dovessero riuscire a formare il governo, per la Polonia l’eredità politica lasciata dal governo in carica potrebbe richiedere molto tempo per essere liquidata, senza dimenticare il rischio di compravendite di parlamentari per sabotare la coalizione di centro-sinistra risultata maggioritaria al voto.
In attesa di vederci più chiaro in Polonia, va fin da subito apprezzata la straordinaria partecipazione al voto e il largo consenso dato dagli elettori, in particolare i giovani e le donne, al ristabilimento della vita democratica e al ritorno a un dialogo con le Istituzioni europee, con un nuovo auspicabile protagonismo della Polonia nel rilancio del cantiere europeo.
Il voto di domenica scorsa è stato anche una sanzione a un governo reazionario di destra che aveva costantemente malmenato le regole fondametali della democrazia, in particolare l’indipendenza della magistratura e la libertà di espressione, quest’ultima in grande difficoltà ad esercitarsi anche nel corso di una campagna elettorale nella quale il governo in carica ha cercato in tutti i modi di imbavagliare l’opposizione.
La vittoria della democrazia in Polonia è anche un grande contributo alla vita democratica dell’Unione Europea alle prese con il virus di “democrature illiberali” in provenienza da est, in particolare dalla banda di “Visegrad” (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca), insofferente per le regole convenute liberamente con l’Unione a inizio secolo per poterne fare parte.
A questo punto si rafforza anche la prospettiva di una conferma dell’attuale maggioranza di centro sinistra nel Parlamento europeo con il voto del prossimo giugno e perde ulteriore terreno un ruolo rafforzato delle destre nell’UE, non senza ricadute anche sui quadri politici nazionali, l’Italia in particolare dove tramontano le speranze di una coalizione delle destre sognata da Fratelli d’Italia.
E tuttavia è ancora presto per cantare vittoria. Sarà importante anche l’esito del voto in Olanda, un Paese fondatore UE che nel 2005 rifiutò il progetto di Costituzione europea, e gli sviluppi politici in Spagna e Polonia: in quest’ultima, la probabile nuova coalizione maggioritaria troverà molti ostacoli davanti a sé prima di poter governare e uscire dalla trappola predisposta dal governo uscente. Bastano pochi dati per convincersene: l’attuale presidenza della Repubblica di centro destra durerà fino al 2025 e potrà esercitare poteri di veto sulle leggi e bloccare le alte nomine giudiziarie e militari, il Tribunale costituzionale costruito su misura dal vecchio governo sarà in funzione fino al 2027 e la presidenza della Banca nazionale blindata fino al 2028.
L’impresa che aspetta la nuova maggioranza sarà quella di ricostruire una democrazia lasciata largamente incompiuta nei lunghi otto anni di un governo nazional-populista ancora oggi pronto a tutto per impedire alla nuova Polonia di contribuire a rilanciare una nuova Unione Europea.