«Grande è la confusione sotto i cieli» ebbe a dire a suo tempo un importante leader cinese e dall’Asia, a Seul dove si era tenuto i giorni scorsi il Vertice del G20, restava di attualità quel messaggio. Gli fa oggi eco da Bruxelles l’allarme del Presidente UE, Herman Van Rompuy, sulla tenuta dell’euro, di nuovo nella bufera finanziaria innescata dall’Irlanda. In entrambi i casi, all’ordine del giorno tanti problemi tra loro intrecciati, portati su un tavolo affollato di leader politici con interessi divergenti, in un clima di crisi che non accenna a finire e che più di un osservatore teme sia pronta a riesplodere.
Quando gli stessi Venti si riunirono a Londra nel settembre del 2009 il mondo era sul baratro di una straordinaria crisi finanziaria ed economica e l’ondata di panico incombente spinse ad intese che parvero inaugurare un primo avvio di governo mondiale, se non dell’economia almeno della finanza.
Da allora un anno è passato e quelle buone intenzioni sembrano essersi squagliate al calor bianco di una crisi economica e sociale che ad oggi non ha ricevuto molte risposte convincenti e rischia di erodere il consenso popolare attorno a molti dei leader politici di oggi.
Ne sa qualcosa Barak Obama, uscito con le ossa rotte dalle elezioni di midterm di due settimane fa; nel Regno Unito David Cameron sente crescere la protesta, in Francia Nicolas Sarkozy ha cercato di salvare il salvabile rimaneggiando il suo governo, in Italia sembra venire giù tutto, da Pompei a Palazzo Chigi, passando per le terre alluvionate del Veneto. Per non parlare dell’Irlanda sull’orlo della bancarotta e della Spagna e del Portogallo ancora sul filo della recessione. A fare le spese di queste tensioni anche la finanziaria 2011 dell’UE, non adottata in tempi utili per l’opposizione di Regno Unito, Paesi Bassi e Svezia alle richieste del Parlamento Europeo e così, alla crisi economica e finanziaria, si aggiunge anche la precarietà dell’esercizio provvisorio del bilancio europeo.
Va meglio per ora – ma forse per ora soltanto – in Germania, al punto che diventa forte la tentazione di Angela Merkel di fare prevalere gli interessi tedeschi su quelli dell’UE, fino a farsi richiamare all’ordine dalla Banca centrale europea. E così tornano alte le tensioni sull’euro e si indebolisce ulteriormente la già fragile coesione economica nell’UE, con i mercati che vanno all’attacco delle economie più deboli e con i conti pubblici in rosso.
Ne sa qualcosa anche l’Italia che ha registrato un’impennata dello «spread» – il differenziale dei tassi dei titoli pubblici – tra i nostri fragili Btp e i solidi Bund tedeschi e questo in una situazione di instabilità politica, proprio mentre l’Italia dovrà presto rifinanziare, per centinaia di miliardi di euro, i titoli pubblici in scadenza.
A Seul si era parlato di guerra dei cambi e delle monete: vero, meglio perಠsarebbe dire guerra – per ora pacifica – di tutti contro tutti.
A Bruxelles, pochi giorni dopo, sono scesi in guerra i ministri dell’Economia UE, riuniti al capezzale di un’Irlanda, affetta da un deficit dieci volte superiore a quello previsto dal Patto di stabilità , con la speranza di evitare un effetto domino che minaccia di trascinare nel baratro Portogallo e Spagna e, Dio non voglia, anche l’Italia.
L’urgenza dell’intervento non deve perಠfare dimenticare le responsabilità : quelle più remote della politica in generale che si muove troppo lenta rispetto alle incursioni corsare della finanza e, quelle più recenti, di leader europei che stentano a trovare soluzioni comuni.
Tra questi, una responsabilità grave va attribuita alla cancelliera Merkel, alle prese con un’opinione pubblica che ancora non si è ripresa dallo shock – e dai costi – del salvataggio della Grecia e teme di dover presto tornare a pagare.
Merkel, insoddisfatta degli accordi dell’ultimo Consiglio Europeo sulla vigilanza finanziaria, ha cercato di calmare le apprensioni dei suoi elettori insistendo perchà©, in caso di ristrutturazione del debito dei Paesi in crisi, a pagare fossero anche gli investitori privati: questi ne hanno subito tratto l’occasione per disfarsi dei titoli a rischio, generando una grande confusione sui mercati e peggiorando di molto la situazione dei Paesi in difficoltà tra i quali, sebbene in misura minore, anche l’Italia. La calma è tornata quando i governi dei cinque Paesi europei presenti a Seul avevano dichiarato che, allo stato, quel rischio non esisteva: una calma che molti giudicano provvisoria, qualcuno parlando della classica «quiete prima della tempesta».
Per l’Italia sarebbe una tempesta che verrebbe ad aggiungersi ad altre turbolenze, politiche e sociali, sullo sfondo di un’economia che stenta a riprendersi e a generare occupazione, di un debito pubblico che continua a salire, di entrate tributarie che continuano a scendere e, di conseguenza, di una manovra finanziaria con pochi margini per gli investimenti.
Per affrontare problemi di queste dimensioni ci vorrebbe finalmente un governo credibile, più che non elezioni anticipate: tutte cose che sanno bene il presidente della Repubblica, il mondo imprenditoriale e, si spera, i cittadini italiani, di più i piccoli risparmiatori preoccupati per le loro economie in euro che non i signori della finanza internazionale.
Perchà©, forse, al punto in cui siamo arrivati, lo «spread» più pericoloso è quello, crescente, che separa la politica dalla società italiana e a questa Italia in affanno lo «stellone» potrebbe non bastare più.