Russia, tra elezioni locali e tentativi di pace in Ucraina

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Dopo un’estate carica di tensioni, si sono svolte domenica 8 settembre le elezioni locali in Russia. Si trattava di rieleggere 16 governatori, i deputati di 13 regioni, inclusa la Crimea e i 45 seggi della Duma a Mosca. Se nell’insieme della Federazione, il Partito del Presidente Putin, Russia Unita, ha mantenuto, grosso modo, il suo predominio, a Mosca e in altre grandi città i risultati hanno messo in evidenza una situazione alquanto diversa.

A Mosca, dove la partecipazione allo scrutinio locale si è limitata al 21,6%,  il Partito del Presidente ha infatti perso circa la metà dei seggi nel consiglio comunale, mandando in tal modo un messaggio chiaro a Putin: il monopolio del Partito al potere è diventato inaccettabile, cosi’ come sono diventati inaccettabili i tentativi di parvenze democratiche all’avvicinarsi degli appuntamenti elettorali. E’ un messaggio che, sebbene provenga da uno scrutinio locale, ha la forza di una vera e propria scossa nazionale. Ormai da tempo contestato e con risultati sempre più in declino anche nelle precedenti elezioni, il Partito di Putin, pur di evitare una sconfitta troppo cocente, ha deciso di non presentare a Mosca  propri candidati, ma affidare a rappresentanti “indipendenti” della società civile e di provata lealtà al potere, le sorti dello scrutinio.

Il risultato di questo scrutinio proviene anche delle numerose manifestazioni  che hanno avuto luogo a Mosca e in altre città durante tutta l’estate, manifestazioni represse brutalmente, con numerosi arresti e che avevano come primo obiettivo quello di protestare contro l’esclusione di molti candidati dell’opposizione alle elezioni.  Si trattava di una richiesta legittima di pluralismo, di tutela dei diritti e di lotta alla corruzione ma anche una protesta per una situazione economica e sociale che si degrada continuamente e, più recentemente, per la proposta impopolare di riforma delle pensioni. I media hanno riportato immagini inaccettabili di violenze che non si vedevano più dal 2011/2012, di accuse di “disordini di massa” per cui sono finiti in carcere tutti gli oppositori al regime più noti, quali ad esempio Aleksej Navalnyi, Dmitrij Gudkov, Ljubol Sobol. Nomi che non si dovrebbero dimenticare e che rappresentano, insieme a tanti altri, una coraggiosa opposizione ad un regime che non si scosta tanto da una dittatura e che rappresenta una minaccia per la democrazia. Poche sono state le reazioni della comunità internazionale a tali violenze; l’Unione Europea, dal canto suo, ha tuttavia lanciato un fragile richiamo:” Il ricorso sproporzionato all’uso della forza contro i manifestanti  porta, una volta di più, a minacciare le libertà fondamentali di esprimere le proprie opinioni (…). Questi diritti fondamentali sono iscritti nella Costituzione russa e quindi ci aspettiamo che vengano rispettati”.

Questo scrutinio era considerato da Putin un test importante in vista delle prossime elezioni legislative nel 2021 e per la conclusione del suo ultimo mandato nel 2024. Ma, in questa situazione, il gradimento pubblico nei suoi confronti è sceso al minimo storico del 30%.

E’ una percentuale ormai lontana da quel 75% di apprezzamento del Presidente manifestato dai russi alcuni anni fa quando, in nome di un sensibile patriottismo stimolato dalla guerra in Ucraina, Putin aveva promesso benessere e stabilità in cambio di autonomia politica sulla scena internazionale. 

E proprio a proposito dell’Ucraina, oggi, a quasi cinque anni di distanza dall’annessione della Crimea alla Russia e dall’inizio della guerra disastrosa nel Donbass nell’est dell’ Ucraina, sembra affacciarsi la possibilità di una ripresa di dialogo che porti alla pace fra i due Paesi. Con una mossa che purtroppo solleva anche qualche interrogativo sulla coincidenza dei tempi, il 7 settembre, vigilia del voto russo, il Presidente Putin e il Presidente ucraino Volodymir Zelenski hanno scambiato 70 prigionieri, 35 per parte. Giudicato un segnale significativo e di speranza per la pace, lo scambio dei prigionieri dovrebbe preludere alla riapertura dei negoziati del formato Normandia fra Russia, Ucraina, Francia e Germania e alla progressiva attuazione degli accordi di Minsk.  

Non saranno certamente negoziati facili, ma se effettivamente verranno riavviati, si apriranno speranze di rapporti più distesi non solo fra Russia e Ucraina ma anche fra Russia e l’intera Europa.

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