Rapporto su occupazione e situazione sociale dell’UE

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Il Rapporto pubblicato dalla Commissione europea mette in evidenza come la ripresa dell’occupazione potrebbe non essere un argine sufficiente contro la povertà, segnale più tangibile della crisi.

Tale situazione sarebbe dovuta, secondo i dati contenuti nel Rapporto, alla polarizzazione delle retribuzioni e all’aumento del lavoro a tempo parziale. L’analisi contenuta nel Rapporto (che tocca anche temi quali il divario di genere e l’impatto delle prestazioni sociali sulla prevenzione dell’esclusione sociale) rappresenta l’ennesima conferma di una tendenza ormai  sottolineata da molti studi: il fatto di avere un lavoro non è più di per sé fattore di protezione dal rischio di povertà ed esclusione sociale. Questo è vero – si legge nel Rapporto – soltanto in un caso su due, l’effettiva valenza protettiva del lavoro dipende anche dalla posizione professionale, dal tipo di contratto e, con riferimento al lavoratore, alla composizione del suo nucleo familiare.

Particolare attenzione viene dedicata, dal Rapporto, all’analisi dei sistemi di protezione sociale e alla loro valenza protettiva: chi percepisce prestazioni sociali (ad esempio sussidi di disoccupazione) non solo è meno esposto al rischio della povertà economica, ma anche maggiori probabilità di rientrare nel mondo del lavoro, soprattutto laddove i sussidi sono decrescenti e dove sono attivi sistemi efficienti che consento il matching tra la domanda e l’offerta di lavoro

Laddove i sistemi di protezione sociale sono meno sviluppati (ad esempio in Polonia e in Romania) ad esercitare valenza protettiva sono le reti familiari e l’economia informale che, però produce effetti negativi sui sistemi di Welfare nel loro complesso. Il ricorso a questi fattori non innesca processi virtuosi di ritorno al lavoro.

In tema di divario di genere il Rapporto sottolinea la persistenza di differenze nella partecipazione al mercato del lavoro, le retribuzioni e il rischio di povertà: le donne lavorano ancora meno ore degli uomini (non sempre e non necessariamente per loro scelta) e ciò determina minori possibilità di carriera, retribuzioni più basse (e in prospettiva pensioni più basse) e sottoutilizzo del capitale umano, fenomeno da contrastare – sostiene il Rapporto – se si vuole fronteggiare la crisi in maniera efficiente.

Altro tema centrale del Rapporto è la dimensione sociale dell’UEM i cui obiettivi sono messi a rischio dai crescenti divari macroeconomici che, a loro volta trovano le loro radici nei primi anni successivi all’introduzione dell’euro, quando in alcuni Stati membri l’aumento del debito (bassi tassi di interesse e massicci afflussi di capitale) si è combinato con andamenti deludenti della produttività e della competitività per il cui recupero si è puntato unicamente sul contenimento di prezzi e salari, con gravi conseguenze economiche e sociali.

Il tentativo di rafforzamento della dimensione sociale dell’UEM, operato dalla Commissione europea nell’ottobre 2013 potrebbe «assorbire gli shock» e « integrare gli attuali strumenti di coordinamento delle politiche», almeno in un’ottica di lungo periodo. (21 gennaio 2014)

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