Quando il diritto internazionale si fa sentire

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Da mesi assistiamo con orrore ad una nuova guerra in Medio Oriente, in quella Terra Santa dove, da troppi anni ormai, due popoli non sono mai riusciti a trovare una rispettosa via di convivenza e di pace. Iniziata il 7 ottobre 2023 con un criminale attacco di Hamas, la guerra di risposta di Israele è tuttora in corso, con effetti umanitari devastanti su Gaza e sull’insieme della popolazione palestinese. 

Gaza è completamente distrutta, le vittime hanno raggiunto cifre che si avvicinano alle cinquantamila, scuole e ospedali in macerie e folle di civili, donne e bambini, costantemente in movimento per sfuggire alle bombe o alla ricerca di cibo che non si trova o non arriva più.

È in questo contesto che la Corte penale internazionale (CPI) ha emesso, dopo un lungo periodo di riflessione, due mandati di arresto distinti. Uno nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della difesa Yoav Gallant e l’altro contro il capo militare di Hamas, Mohammed Deif, responsabile degli attacchi terroristici contro Israele, perpetrati appunto il 7 ottobre 2023. Attacchi che hanno causato 1.200 vittime e fatto circa 250 ostaggi. Sono due mandati d’arresto per crimini contro l’umanità e per crimini di guerra.

Sono senza dubbio sentenze di notevole portata, che hanno suscitato reazioni controverse da parte della comunità internazionale ma che, va detto subito, devono essere salutate e viste come la prova dell’esistenza di un diritto internazionale che si afferma contro l’uso illimitato della forza e della certezza dell’impunità.

Forti, infatti, le reazioni di Israele e di alcuni Paesi vicini a Israele (soprattutto Stati Uniti) i quali non hanno esitato ad accusare la sentenza della Corte di “antisemitismo” o di “assurda” e “oltraggiosa” e a considerare inaccettabile il fatto che la Corte mettesse sullo stesso piano Israele, una democrazia, e Hamas, un movimento terrorista. Se questo secondo aspetto è vero, è altrettanto vero che sia Israele che Hamas hanno commesso crimini di guerra e contro l’umanità e la Corte non ha fatto altro che giudicare i fatti, cioè i crimini che hanno commesso. Fatti che le agenzie ONU non hanno mai smesso di denunciare. 

La Corte, nell’emettere per la prima volta un mandato di arresto contro i responsabili politici di una democrazia occidentale, manda a dire che il diritto è universale e non a geometria variabile o limitato ad una scelta fra amici e nemici dell’Occidente, come ci ricorda, ad esempio, il mandato d’arresto contro Putin. 

Ma al di là della sua portata giuridica, le sentenze della Corte hanno anche un risvolto geopolitico. Non disponendo di forze proprie per far rispettare le sue decisioni, essa puo’ solo affidarsi agli Stati che hanno aderito allo Statuto di Roma ed hanno l’obbligo di cooperare con la Corte.  Tuttavia, va sottolineato al riguardo che Stati Uniti, Cina, Russia, India e Israele non hanno mai ratificato lo Statuto di Roma. 

La sfida geopolitica posta riguarda la collaborazione e il rispetto delle sentenze della Corte soprattutto da parte dei Paesi occidentali e in particolare dei Paesi europei, sui quali pendono, come abbiamo visto, incertezze e divisioni. Un dilemma fra il rispetto del diritto e della giustizia internazionale e il sostegno incondizionato ad Israele. Al riguardo, è necessario ricordare le parole di Josep Borrell, il quale, nel sottolineare che non si tratta di una decisione politica, chiama tutti gli Stati membri ad aderire alla decisione della Corte. Ne va della responsabilità e della credibilità morale dell’Occidente nei confronti del resto del mondo.

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