Prospettive Finanziarie, negoziato difficile o fallimento che viene da lontano?

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La Commissione ha proposto -tra il marzo e il luglio del 2004 – un quadro finanziario 2007 – 2013 che ammonta complessivamente a 1022 miliardi di euro, pari all’1,24% del Prodotto Interno Lordo con stanziamenti di pagamento pari a 943 miliardi di euro (1,14% del Prodotto Interno Lordo).
I criteri che guidano la costruzione delle prossime prospettive finanziarie sono la semplificazione delle procedure, l’unificazione delle linee di bilancio, l’efficacia, l’efficienza e la priorità   per le sinergie che rendano evidente il valore aggiunto dell’azione comunitaria.
Vengono individuate 4 rubriche (crescita sostenibile, preservazione delle risorse naturali, libertà  , sicurezza giustizia e cittadinanza, l’Ue come partner globale) e per ognuna di esse si declinano obiettivi specifici e misure concrete e si individuano le fonti di finanziamento esistenti o da costituire.
Grande spazio viene dato a Programmi Quadro rinnovati (Settimo Programma Quadro Ricerca, Programma Cultura), creati ex novo (Programma Quadro Competitività  , Programma Quadro Giustizia) o risultanti dell’unificazione di più linee di bilancio (è il caso, ad esempio, del Programma Quadro sulla Formazione che unifica i programmi Erasmus, Socrate, Leonardo e Comenius o dei Programmi per la Sanità   Pubblica, per la Tutela dei Consumatori e per la promozione della cittadinanza)
Restano, poi come strumenti cardine della distribuzione delle risorse i fondi strutturali che consentiranno grandi investimenti sulla formazione (Fondo Sociale Europeo), sulla riduzione delle disparità   regionali (Fondo europeo per lo sviluppo regionale), e sulla preservazione delle risorse naturali (Fondo europeo per la pesca).
A questi strumenti si aggiungono quelli utilizzati per il raggiungimento di obiettivi specifici quali la promozione della cooperazione transfrontaliera (Fondo di cooperazione transfrontaliera), la creazione di infrastrutture di ricerca e delle reti transeuropee (Galileo, Marco Polo), il consolidamento dell’Europa a 25 (Fondo di adeguamento alla crescita e Fondo di coesione), il rafforzamento del ruolo dell’Ue nel mondo (aiuti alla preadesione, politiche di vicinato, cooperazione allo sviluppo, prevenzione e assistenza in caso di calamità   naturali)
Il negoziato, che arriva in uno dei momenti più difficili della storia dell’integrazione europea, si è presentato da subito come complesso e difficile; la materia del contendere attiene a questioni di fondo quali la percentuale del PIL da destinare al bilancio dell’Unione che i sei Paesi del rigore – Germania, Francia, Regno Unito, Austria, Olanda e Svezia – vorrebbero fosse dell’1% ma anche a questioni specifiche e particolari legate alla situazione dei singoli Stati membri; di queste ultime le più rilevanti hanno a che fare con la politica agricola comunitaria e con lo sconto inglese. La Commissione, infatti, ha proposto il progressivo azzeramento dell’assegno che Londra riceve da Bruxelles dal 1984 quando il Primo Ministro Margareth Thatcher, facendosi scudo del fatto che l’agricoltura non era un settore consistente dell’economia britannica, disse di «rivolere indietro i suoi soldi» ed ottenne un assegno che, per fare un esempio, ammonta 5,3 miliardi di euro per il 2005.
Il Primo Ministro lussemburghese Jean Claude Juncker aveva tra i suoi obiettivi, enunciati all’inizio del semestre di presidenza, la chiusura del negoziato e per questo ha fatto grandi sforzi alla ricerca di una mediazione arrendendosi solo alla fine del Consiglio europeo che segna uno dei più pesanti fallimenti nella storia dell’ integrazione europea.
Tra maggio e giugno, tenendo conto delle istanze degli Stati membri la Presidenza lussemburghese aveva proposto di ridurre gli stanziamenti di impegno a 870 miliardi di euro (1,06% del PIL) e gli stanziamenti di pagamento a 786 miliardi di euro (0,96%); di rivedere al ribasso le cifre indicate dalla Commissione in materia di ricerca, alle Reti Transeuropee, libertà   sicurezza e giustizia e relazioni esterne e di confermare quelle relative alla rubrica conservazione dell’ambiente con l’aggiunta di una somma supplementare per l’integrazione di Romania e Bulgaria nella Politica Agricola Comune
Per quanto riguarda la situazione dei singoli Stati membri il testo della Presidenza confermava la necessità   di ridiscutere il «caso inglese» e proponeva di adottare misure specifiche per sostenere i contributori netti dell’Unione (Olanda Germania e Svezia) e gli Stati che compiono gli forzi maggiori in materia di politiche di coesione
Anche il Parlamento, voce decisiva sul tema, in quanto autorità   di bilancio, ha concluso un lavoro di analisi del quadro finanziario: la plenaria di Strasburgo ha votato e approvato il 9 giugno il rapporto redatto dalla commissione temporanea sulle prospettive finanziarie (relatore Reiner Boge CDU).
L’ambiziosa proposta del Parlamento prevede 975 miliardi di euro in crediti di impegno (1,18% del PIL) e 883 miliardi in crediti di pagamento (1,07%); non sono compresi nel quadro finanziario i fondi per lo sviluppo (21.800 miliardi di euro) e si propone la creazione di riserve per fare fronte a situazioni impreviste (coesione, aiuti di emergenza, fondi di solidarietà  , fondi di garanzia)
Nel merito delle singole rubriche il Parlamento è concorde con la Commissione in materia di Crescita sostenibile mentre propone aumenti per le rubriche giustizia libertà   sicurezza e cittadinanza (un miliardo di euro) e l’Ue come partner globale (due miliardi di euro).
Su queste basi, e con molti nodi ancora irrisolti si è aperto i 16 giugno il Consiglio europeo che, ben pruina del cataclisma costituzionale franco-olandese, aveva iscritto all’ordine del giorno il negoziato sulle prospettive finanziarie.
All’inizio del vertice il presidente di turno ha dovuto confrontarsi con la determinazione di Chirac nel chiedere la riduzione e il progressivo azzeramento dello sconto inglese, con le resistenze di Blair che non intende cedere su questo punto prima di aver portato a casa una riforma della Politica Agricola Comunitaria e con le rivendicazioni di Balkenede, seguito dagli altri contributori netti dell’Unione, che chiede di versare meno denaro – per la precisione un miliardo e mezzo di euro in meno – nelle casse di Bruxelles
Per sbloccare il negoziato Juncker ha aperto il vertice confermando le misure specifiche a favore dei contributori netti e proponendo che lo sconto inglese, destinato a superre i 7 miliardi di euro negli anni coperti dal nuovo quadro finanziario venga congelato a 4,6 miliardi per il 2007 e progressivamente abolito; a questo punto la Francia sembra accettare una minima riduzione dei fondi per la PAC in cui verrebbero inserite anche Romania e Bulgaria senza un aumento delle risorse complessive ( si tratta in sostanza di un calo complessivo di risorse pari a 8 miliardi di euro su 293).
Dopo due giorni di contatti bilaterali si arriva alla serata finale del Vertice, Juncker offre agli olandesi un miliardo di euro di riduzione del contributo al bilancio dell’Unione e propone di rallentare l’abolizione dello sconto inglese partendo da 5,5 miliardi di euro. Niente da fare, Inghilterra e Olanda non ci stanno perchà©, dicono, non è un problema di soldi ma di cose da fare; a quel punto anche la Spagna – che spera in un trattamento migliore per l’uscita dai fondi di coesione – e la Svezia – sulle stesse posizioni dell’Olanda – si oppongono, l’accordo salta definitivamente e un amareggiato Juncker non puಠche prenderne atto accusando, senza mezzi termini, Olanda e Inghilterra in una difficile conferenza stampa conclusiva.
Siamo dunque di fronte ad un fallimento grave, pericoloso, potenzialmente destabilizzante e prospetticamente scoraggiante.
La gravità   è legata alla possibile paralisi che la macchina amministrativa comunitaria rischia di subire, dovendo attendere, presumibilmente, il semestre di presidenza austriaca per una vera ripresa del negoziato.
La precarietà   degli equilibri istituzionali si scorge se si pensa a quanto il fallimento del negoziato equivalga alla vittoria della dimensione intergovernativa su quella sopranazionale e a quanto questo risultato sia poco rispettoso del lavoro di tutti, soprattutto di Parlamento e Commissione, da sempre anelli deboli del triangolo istituzionale.
I rischi per il futuro sono evidenti: questo fallimento arriva proprio nel momento in cui l’Europa avrebbe dovuto dimostrarsi forte, solidale e capace di agire, anche per rispondere a chi ha bocciato il Trattato Costituzionale perchà© «sovranista», «sedotto» dai fantasmi di un Europa che, senza costituzione avrebbe potuto essere «più sociale» o intimorito all’arrivo in massa dei cittadini dei dieci nuovi Stati Membri.
Lo scoraggiamento infine, non puಠnon cogliere un attento lettore delle conclusioni del vertice e degli eventi che in quella sede si sono consumati.
Il tavolo del negoziato salta ma il Consiglio europeo «conferma il suo impegno» «ribadisce la necessità   e l’urgenza di un quadro finanziario basato su presupposti di chiarezza e certezza» e «riconosce la solidità   dell’impianto costruito dalla presidenza lussemburghese, invitando la presidenza britannica a proseguire il cammino» .
L’accordo non è stato trovato perchà© le dichiarazioni di intenti relative allo Sviluppo sostenibile, alla strategia di Lisbona o alla Strategia per la crescita e l’occupazione non riescono a trovare sostanza e perchà© i «commenti ricchi di soddisfazione» per l’adozione di alcuni programmi (libertà   sicurezza e giustizia) o per i progressi compiuti in alcuni ambiti (cooperazione giudiziaria e di polizia) sembrano non avere la forza di tradursi nei necessari impegni concreti da assumere in una logica di medio-lungo periodo tale da garantire all’Ue di domani i mezzi e le risorse per raccogliere in maniera solidale quelle che in questi mesi sono state più volte definite «le sfide dell’allargamento».
Proprio sulla risposta a queste sfide l’Europa dei quindici si è dimostrata poco affidabile e distante dai nuovi arrivati se è vero che, mentre i «vecchi» continuavano ad arroccarsi dietro ai numeri nella difesa delle loro quote in entrata o in uscita è stato il premier polacco Marek Belka, seguito dai suoi colleghi dei dieci nuovi Stati, a dire fuor di metafora che parlare oggi di prospettive finanziarie vuol dire affrontare il tema della ripartizione dei costi dell’allargamento e a dichiararsi disponibile a qualche rinuncia ai benefici previsti pur di trovare un accordo.
A questo punto si tratta di smaltire lo shock, quello shock che il Ministro degli Esteri britannico Jack Straw si è affrettato a rileggere come «occasione di cambiamento» e di aspettare la presentazione del programma della presidenza inglese per capire se il negoziato puಠripartire esattamente là   dove Juncker lo ha lasciato o se, come appare più probabile, si ripartirà   da un nuovo dibattito sulle questioni di fondo, sapendo che in questo caso difficilmente il negoziato potrà   chiudersi entro la fine del semestre britannico con gli inevitabili problemi causati dai ritardi già   citati in precedenza.

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