Ci sono alcune date da non dimenticare nel mese appena iniziato: il 1° maggio, festa dei lavoratori; 4 maggio, per molti lavoratori in Italia il ritorno in fabbrica; 6 maggio, presentazione del “Piano per la ripresa” da parte della Commissione europea e, il 9 maggio, la festa dell’Europa nel settantesimo anniversario della Dichiarazione Schuman. Si tratta di quattro date legate tra loro dal filo rosso del lavoro, presente e futuro, in Italia e in Europa: la prima e l’ultima che evocano due feste tristi, le altre due che offrono motivi di speranza.
Cominciamo dalle feste tristi, da quella appena vissuta in un 1° maggio di piazze vuote, un po’ ovunque in Italia e in Europa, a testimoniare anche il “vuoto” di attività cui ci ha costretto il Covid-19 e il messaggio che anche per il lavoro domani nulla sarà più come prima, né per quantità né per qualità. Si ridurranno i posti di lavoro, ne muterà il profilo con il telelavoro, la progressione delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale e si modificherà il quadro dei diritti e delle tutele, oggetto di future radicali riconfigurazioni, tanto nelle legislazioni che nelle contrattazioni sindacali.
Diverso il contesto della data del 9 maggio quando ricorderemo l’avvio, nel lontano 1950, del processo di integrazione europea ad iniziativa del governo francese di allora che invitava i belligeranti di pochi anni prima a mettersi al lavoro insieme per ricostruire l’Europa e salvaguardarne la pace da poco conquistata. Quest’anno l’Unione Europea ricorderà quella data sotto la pressione di una crisi economica di dimensioni inedite che la sfida a ritrovare il coraggio e la determinazione di settant’anni fa e a farlo non più con solo sei Paesi ma ventisette, in condizioni non meno difficili di allora ma con altrettanta fiducia nel futuro. Dovrebbe essere quella anche la data in cui lanciare la “Conferenza sul futuro dell’Europa”, un’iniziativa annunciata prima dell’esplosione della pandemia ma adesso più necessaria che mai per dare fiato alla speranza.
Una speranza annunciata dalle altre due date, quelle del 4 e del 6 maggio. La prima, che vede in Italia riprendere la strada verso il lavoro di oltre quattro milioni di persone andate a raggiungere quanti – e già erano molti – che l’attività non l’avevano sospesa, in particolare nelle strutture sanitarie e in altri servizi considerati essenziali o lavorando da casa. E’ stato un periodo di parziale “sospensione” del lavoro tradizionale che potrà funzionare da test per il futuro, utile per valutare quali attività, in quali settori e in quali condizioni, hanno potuto avvalersi del lavoro da remoto, già sapendo che molte cose cambieranno, a cominciare dalle relazioni sociali fino ai criteri di produttività economica.
Una prima risposta a queste domande potrebbe già venire il 6 maggio dalla presentazione del progetto della Commissione europea di un “Piano per la ripresa”, dotato di risorse finanziarie importanti, con l’obiettivo di riavviare le nostre economie e con esse il lavoro, gravemente minacciato da prospettive di aggravamento della disoccupazione in tutta l’Unione Europea, in particolare in Italia dove potrebbe superare anche il 12% della forza lavoro, colpendo in particolare la fascia giovanile che già vive condizioni di insopportabile precariato.
La decisione dell’UE di destinare nei mesi prossimi 100 miliardi di euro a un programma europeo di sostegno a diverse forme di ammortizzatori sociali va salutata con favore come misura di emergenza, ma non deve far dimenticare che non è la risposta al problema del lavoro che manca e a quello che cambia e al quale bisogna soprattutto dare prospettive di nuove tutele e dignità di cittadinanza.