Bruxelles aveva almeno due buone ragioni di essere preoccupata per l’esito delle elezioni politiche in Spagna la scorsa domenica. Una immediata e un’altra in vista delle future elezioni del Parlamento europeo a inizio giugno 2024.
Nell’immediato il risultato elettorale avrebbe potuto modificare la conduzione dei lavori del Consiglio dei ministri UE, presieduto in questo secondo semestre dell’anno dalla Spagna, le cui priorità erano state preparate dall’attuale governo a guida socialista.
Non erano priorità banali: andavano dall’impegno a sostenere la reindustrializzazione dell’UE ai progressi nella transizione verde, dalla promozione di una maggiore giustizia sociale ed economica al rafforzamento dell’unità europea, senza dimenticare che questo è anche il semestre che dovrebbe portare a termine la revisione del Patto di stabilità per una “governance” condivisa delle finanze pubbliche dei Paesi UE.
È probabile che l’esito elettorale, responsabile di una congiuntura politica dominata dall’incertezza nella formazione di una maggioranza, confermi alla guida del semestre europeo l’attuale governo, in attesa di possibili nuove elezioni a fine anno. Non è il massimo che si potesse sperare a Bruxelles, ma meglio di un precipitoso ribaltone politico a Madrid.
Forse più interessante la risposta degli elettori spagnoli all’altra preoccupazione che aleggiava in Europa sul futuro delle maggioranze politiche al Parlamento europeo, minacciate da temute avanzate delle forze politiche di destra, di quella estrema in particolare. Quest’ultima già si era significativamente rafforzata in recenti elezioni in Finlandia, Italia e Grecia e potrebbe ulteriormente segnare punti importanti nelle prossime elezioni nel corso dell’anno in Polonia, Austria e Slovacchia, con qualche rischio anche in Olanda, senza dimenticare quanto già accade in Ungheria e in Paesi limitrofi.
Da questo punto di vista l’esito elettorale in Spagna, Paese politicamente importante per i progressi dell’integrazione europea, insieme con Francia e Germania, ha raffreddato i timori per un balzo in avanti delle destre, in particolare visto il clamoroso insuccesso dell’estrema destra nazionalista e reazionaria di Vox, il partito appoggiato da Fratelli d’Italia e dalla sua presidente, Giorgia Meloni, che molto si era spesa per il suo successo. Il crollo di Vox rimanda per ora al mittente le pretese di costruire in Europa, come in Italia, una coalizione di destra-centro che remi contro il processo di integrazione europea, facendola regredire sotto i colpi di un ritorno al mito della Nazione, con tutte le tragedie già sperimentate nel secolo scorso.
Nè va dimenticato che il partito conservatore di destra dei popolari, arrivato primo nella consultazione elettorale, fa pur sempre parte del Partito popolare europeo (PPE) che, tra molte contraddizioni, mantiene una originaria vocazione in favore proprio di quel processo di integrazione cui partecipa, con le residue truppe rimaste, anche Forza Italia.
In questo quadro non bisogna sottovalutare l’inattesa tenuta del Partito socialista spagnolo che nella consultazione elettorale ha limitato i danni, segnando anzi un leggero progresso, e potrebbe ancora essere in grado di restare alla guida del Paese – e del semestre europeo – se riuscisse a comporre con le forze politiche regionaliste e indipendentiste, impresa non facile.
Agli occhi di Bruxelles il risultato elettorale spagnolo conferma la possibile tenuta dell’attuale “maggioranza Ursula” di centro-sinistra, quella che vede alleati il Partito popolare europeo, i Socialisti e democratici, i liberali e tendenzialmente i Verdi, tutti con prospettive di riduzione di consensi alle prossime elezioni europee, ma non al punto di lasciare prevedere una praticabile aggregazione maggioritaria tra i conservatori e le impresentabili destre estreme, come quella tedesca con nostalgie neo-naziste di AFD, quella nazionalista spagnola di Vox e altre simili che si aggirano nei dintorni.