Nuove promesse in vista di Copenaghen

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Mentre il Parlamento Europeo auspica «un accordo ambizioso e giuridicamente vincolante» sulla riduzione delle emissioni alla prossima Conferenza di Copenaghen, i leader di Cina e USA annunciano la loro presenza al Summit e promettono un rinnovato impegno nella lotta ai cambiamenti climatici.
Che sia stato lo sconcerto internazionale manifestato dopo l’accordo di Singapore del 15 novembre scorso, con cui Cina e USA dichiaravano di fatto il fallimento di Copenaghen, o più probabilmente che l’iniziativa attenga a impegni non vincolati da parametri internazionali, cioè decisi unidirezionalmente in piena libertà   e che quindi allo stesso modo possono essere modificati o disattesi, sta di fatto che negli ultimi giorni qualcosa è cambiato nell’atteggiamento di USA e Cina in vista della Conferenza, almeno dal punto di vista degli annunci.
Il presidente degli USA, Barack Obama, ha infatti reso noto che andrà   a Copenaghen portando con sà© una proposta di riduzione delle emissioni nocive, rispetto ai livelli del 2005, del 17% entro il 2020, del 30% entro il 2025 e del 42% entro il 2030. Non è ancora assolutamente un allineamento alle posizioni dell’UE, che propone un taglio del 20% al 2020 ampliabile al 30% se si troverà   un consenso internazionale ampio. La forte differenza sta nel fatto che l’UE prende come punto di riferimento il 1990, stabilito dal protocollo di Kyoto, mentre gli USA si riferiscono al 2005: in quei 15 anni, perà², le emissioni sono aumentate sensibilmente, così il 17% calcolato sul 2005 equivale a solo il 4% calcolato sul 1990, il 30% equivale al 18% e il 42% al 32%.
Oltre agli USA, anche la Cina ha annunciato «un’azione volontaria» che mirerebbe alla riduzione del 40-45% delle sue emissioni a effetto serra entro il 2020.
Intanto, l’Europarlamento ha invitato i leader politici mondiali a «conferire massima priorità  » alla questione dei cambiamenti climatici e a «dimostrare leadership politica», mentre l’UE è stata esortata «a continuare a sviluppare una politica esterna in materia di clima e a parlare con una sola voce per poter conservare il proprio ruolo guida nei negoziati». Secondo i deputati europei, a Copenaghen come minimo le parti dovranno giungere a un accordo vincolante sugli obiettivi di attenuazione e di finanziamento dei Paesi industrializzati, nonchà© stabilire un processo formale per giungere, nei primi mesi del 2010, a un accordo globale che entri in vigore il 1° gennaio 2013.
L’Europarlamento ritiene che l’accordo internazionale dovrebbe garantire che: i Paesi sviluppati riducano le loro emissioni dei valori più alti della scala compresa tra il 25 e il 40% entro il 2020 e di almeno l’80% entro il 2050, rispetto ai livelli del 1990; i Paesi in via di sviluppo si impegnino collettivamente a contenere l’incremento delle loro emissioni a un livello inferiore del 15-30% rispetto alla progressione prevista, ma che Cina, India e Brasile dovrebbero impegnarsi per il conseguimento di obiettivi analoghi a quelli dei Paesi industrializzati. Inoltre, gli eurodeputati sottolineano come i Paesi sviluppati abbiano la responsabilità   di fornire ai Paesi in via di sviluppo sostegno finanziario e tecnico «sufficiente, sostenibile e prevedibile» per consentire loro di impegnarsi a favore della riduzione delle proprie emissioni: per questo l’UE dovrebbe impegnarsi almeno ad un finanziamento globale di 5-7 miliardi di euro l’anno per il periodo 2010-2012.

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