È sicuramente positivo che i programmi elettorali dei principali partiti politici, alla vigilia del voto di settembre, pongano in bella evidenza la fedeltà all’Alleanza atlantica (NATO) e l’adesione all’Unione Europea. È tuttavia meno chiaro che cosa essi intendano e a quali condizioni confermino questo duplice impegno.
Perché di un duplice impegno si tratta, di natura e intensità politica diversa, senza contare che diversi sono i soggetti contraenti di queste due intese politiche. Gli Stati membri della NATO vanno al di là dell’attuale spazio UE, in particolare con la guida decisiva degli Stati Uniti d’America, mentre alcuni membri dell’UE non fanno parte della NATO.
Soprattutto diversa è la natura del contratto nei due casi e non comparabili i vincoli che ne derivano per i contraenti. Nel caso dell’Alleanza atlantica l’impegno è di natura militare, anche se non privo di dipendenze politiche per le presunte sovranità nazionali coinvolte, come abbiamo potuto constatare nella vicenda dell’invasione russa in Ucraina. Nel caso dell’Unione Europea assistiamo da settant’anni a una progressiva limitazione della sovranità nazionale con l’obiettivo di procedere sulla strada dell’integrazione fino alla costruzione di una sovranità europea. Per semplificare di potrebbe dire che nel primo caso il contratto si limita a un matrimonio di interesse circoscritto, mentre nel secondo l’impegno va molto oltre, fino a consolidare una famiglia con una guida politica condivisa.
Questa griglia di lettura aiuta a comprendere come alcune forze politiche italiane siano molto più a loro agio nel confermare fedeltà all’Alleanza atlantica, ma più guardinghi nei confronti dell’Unione Europea. Per quest’ultima, una volta confermatane l’adesione, alcune forze politiche avanzano proposte di riforma in senso regressivo, con l’obiettivo di recuperare sovranità nazionale e contrastare il processo verso una sovranità europea.
A questo proposito molti osservatori hanno richiamato alla memoria una recente proposta del 2018 di Fratelli d’Italia di apportare alcune modifiche rilevanti alla Costituzione italiana, per ridurre i vincoli europei, senza tuttavia perdere le opportunità finanziarie garantite dall’UE come nel caso del “Next generation UE” che alimenta generosamente il “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, il PNRR italiano.
In particolare sono da segnalare due proposte di modifica della nostra Costituzione, al fondamentale art. 11 e al vincolante art. 117. Nel primo caso la proposta comporta un’integrazione, nel secondo la soppressione di un paragrafo: la somma delle due dice chiaramente che cosa vogliano alcuni “atlantisti” per una futura Unione Europea.
All’art. 11 (quello che si apre con il ripudio della guerra) si propone un nuovo paragrafo: “Le norme dei Trattati e degli altri atti dell’Unione Europea sono applicabili a condizione di parità e solo in quanto compatibili con i principi di sovranità, democrazia e sussidiarietà, nonché con gli altri principi della Costituzione italiana”. A prima vista sembrerebbe addirittura banale se non fosse un grimaldello per aprire la porta alla superiorità del diritto nazionale su quello europeo, come sta avvenendo in Polonia a scapito dello Stato di diritto. Aiuta a capire il pericolo la modifica proposta all’art. 117 della Costituzione dove si dice che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” da ridurre con “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nelle competenze a essi spettanti”.
Viene un dubbio: “atlantisti” sì, “europeisti” forse.