Migranti nell’Ue: tutti contro tutti

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Da chiedersi se il problema dei migranti sia il pomo della discordia che dà fuoco alle polveri tra i Paesi UE e in Italia o se non sia la cartina di tornasole che servirà a sciogliere nodi scorsoi che rischiano di asfissiare il progetto europeo, per qualcuno ormai alla canna del gas.
Capita abitualmente che alla vigilia di un Consiglio europeo i toni si accendano e con loro cresca la confusione tra le parti. Fa parte del copione, in vista di un negoziato difficile, alzare la voce, minacciare veti o addirittura minacciare di non sedersi al tavolo. In genere capita ai soggetti in maggiore difficoltà o con poco mestiere negoziale; gli altri preferiscono cambiare gioco, blandire, soprassedere e promettere. In questa partita l’Italia, con qualche suo ministro, sembra schierarsi nella prima categoria di giocatori; Germania, Francia e Spagna nella seconda, anche se tra questi qualcuno sembra giocare in proprio, come il ministro tedesco dell’interno, in competizione politica con la sua capitana Angela Merkel.
A fare la voce grossa per l’Italia è il ministro dell’interno e cripto-presidente del Consiglio Matteo Salvini, un classico rinoceronte nella cristalleria, che cercano di contenere il ministro dell’economia e quello degli esteri, assecondati con discrezione dal garante del Quirinale. Irrilevante l’altro vice-presidente, assente dagli schermi radar quel mastino che doveva essere Paolo Savona, per ora in posizione defilata.
Ad arbitrare la spigolosa partita ci prova il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, poco aiutato dal presidente del Consiglio europeo, preoccupato di non spiacere troppo al Gruppo di Visegrad, dove si annidano pericolosi alleati per l’Italia di Salvini.
Queste le squadre in campo, ma per quale posta in gioco? Non solo la ricerca di una soluzione per il problema provocato dai flussi migratori, ma forse anche la sopravvivenza stessa di questa stremata Unione Europea.
Quelle che da tempo si erano segnalate come faglie a rischio sismico per l’UE sono in movimento e possono provocare un terremoto, capace di mandare in frantumi una fragile coesione europea costruita in questi anni.
Due anni fa, di questi giorni, Brexit aveva suonato l’allarme, altri segnali erano arrivati da successive consultazioni elettorali, in particolare sul versante centro-orientale europeo, a cui si è aggiunta l’irruzione nell’UE del nazional-populismo in Italia. E adesso un fantasma si aggira per l’Europa: quello di una sua regressione alla tragica prima metà del ‘900.
Sul vertice a Budapest dei Paesi di Visegrad (Polonia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica ceca) con l’Austria, da luglio alla presidenza semestrale UE (in che mani…), sembrava aleggiare l’ombra di un ritorno dell’impero austro-ungarico. Pochi giorni dopo il vertice dei principali Paesi al di qua dell’Oder, fiume-frontiera tra est e ovest europeo. Un’immagine plastica di come potrebbe frantumarsi l’UE e anche peggio se, come nel caso della “zattera di pietra” raccontata da Saramago, dovessi staccarsi anche l’Italia, per andare alla deriva nel Mediterraneo e approdare un giorno nel mar Nero, sponde e colore che sembrano attirare qualcuno nel suo attuale governo.
È anche possibile che molte di queste turbolenze si plachino in attesa del Consiglio europeo di fine giugno, se sarà trovato un compromesso provvisorio che non metta all’angolo né Italia né Germania, paradossalmente alleate in questa congiuntura. Non sarebbe ancora la svolta da tanto attesa per il rilancio del progetto europeo, ma almeno impedirebbe un pericoloso passo indietro che sarebbe comunque illusorio considerare alla stregua di una rincorsa per saltare un’asticella che sale di giorno in giorno.
Auguri a chi avrà il coraggio di gettare il cuore oltre l’ostacolo.

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