I viaggi dei Capi di Stato e di governo all’estero hanno sempre un significato politico. Lo è stato la settimana scorsa quello di Benjamin Netanyahu negli USA, alla vigilia per lui di un difficile voto in Israele e nell’imminenza di un possibile accordo nella vicenda del nucleare iraniano.
Non senza significato i due viaggi che, nella stessa settimana, hanno visto impegnati all’estero il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e quello del Consiglio, Matteo Renzi: il primo in Germania, con un passaggio a Bruxelles e il secondo a Mosca per incontrare Vladimir Putin.
Di quest’ultima visita è poco dire che è cascata in un momento difficile, giusto all’indomani dell’assassinio di Boris Nemstov, tenace oppositore di Putin. Tuttavia, giustamente, la visita di Renzi è stata confermata, troppi e urgenti sono i temi del problematico dialogo con il Presidente russo, dai problemi nel Mediterraneo, e della Libia in particolare, alle conseguenze del conflitto in Ucraina, fino ai problematici rapporti tra la Russia e l’Unione Europea nel suo insieme.
Il tema dell’Unione Europea, del suo stato di salute e delle sue prospettive, è stato il filo rosso del viaggio di Stato del Presidente Mattarella. Significativo che la prima tappa del suo primo viaggio all’estero sia stata Berlino, dove Mattarella ha incontrato il Presidente Joachim Gauck e la Cancelliera Angela Merkel e dove ha sostato davanti a quello che resta – fortunatamente solo un simbolo – del Muro, ricordando tempi bui per l’Europa ed esprimendo la speranza che quei tempi non ritornino più. Lo stesso auspicio che, quasi in contemporanea, Renzi ha espresso a Mosca, in questi giorni grigi per la convivenza sul Continente.
Qualcuno si è chiesto perché Mattarella abbia fatto tappa prima a Berlino che non a Bruxelles. Una risposta semplice potrebbe consistere nel dire che a Berlino sta oggi la vera capitale economica e, “in nuce”, politica dell’Unione Europea; a Bruxelles quella amministrativa e tecnocratica.
Si tratta di una risposta un po’ monca: c’era nell’incontro di Berlino anche una forte componente bilaterale a supporto di un rafforzamento dei rapporti e della credibilità dell’Italia con la Germania, dopo la dolorosa stagione dei “compiti a casa” e la faccia pulita del nuovo Presidente poteva essere – ed è stato – un contributo importante.
Non è però mancato a Berlino un appello all’Europa – e alla Germania – a “cambiare passo” e a riprendere la strada verso l’unione politica: un messaggio non a caso consegnato al Paese che, con la Francia e con l’Italia, può prendere iniziative in questa direzione, abbandonando la “riluttanza” dimostrata finora a esercitare una naturale leadership per un’Europa federale “con chi ci sta”.
Sappiamo quanto riluttanti siano a prendere questa strada i Paesi entrati recentemente nell’UE, ancora troppo gelosi di una loro presunta ritrovata sovranità, e soprattutto quanto sia in bilico la permanenza della Gran Bretagna nell’UE. Le elezioni britanniche del prossimo 7 maggio possono impattare molto sul futuro dell’UE e aprire verso quel referendum promesso per il 2017 da David Cameron – se a maggio vince, ma non è detto – per sondare la volontà popolare nei confronti dell’UE. Ad oggi i sondaggi danno il Regno Unito in bilico, con un vantaggio ancora in favore della permanenza britannica nell’UE. Sono umori molto variabili ed è difficile fare previsioni, ma cominciano a essere in molti quelli che non considererebbero un dramma la fuoriuscita inglese. Paradossalmente, sembrano temerla più gli Stati Uniti che non alcuni Paesi europei.
Come dire che, senza essere necessariamente “magico”, il triangolo Germania, Francia e Italia – con la prima al vertice e le altre due ai lati – potrebbe non essere solo fantascienza per il futuro dell’Europa.