Il 2024 si è concluso con l’apertura di un nuovo fronte di guerra in Medio Oriente. Dal 7 ottobre 2023 infatti con il terribile attentato di Hamas nei confronti di Israele e la dura e duratura risposta di Israele a Gaza, il profilo geopolitico del Medio Oriente si è progressivamente modificato ed è tuttora in movimento.Se la prima reazione di Israele all’attacco di Hamas è stata quella di rispondere immediatamente lanciando una caccia senza quartiere ai suoi leader e facendo pagare un prezzo altissimo alla popolazione palestinese, ormai allo stremo, la strategia di Netanyahu si è progressivamente adattata all’obiettivo di allargare l’orizzonte del conflitto e di puntare all’indebolimento dell’Iran, a partire dal coinvolgimento di altri Stati nel conflitto e per “costruire un nuovo ordine in Medio Oriente”.
Il primo passo dopo Gaza è stato infatti verso il Libano, con l’obiettivo di indebolire, se non annientare il regime degli Hezbollah, Partito di Dio, legato all’Iran attraverso “l’asse della resistenza”, una coalizione informale composta da milizie e gruppi politici alleati o sostenuti da Teheran. Malgrado un fragile “cessate il fuoco”, la tregua con il Libano, ad oggi, non regge e i bombardamenti israeliani continuano, tra numerose vittime e distruzioni. Il paesaggio politico mediorientale si modifica ulteriormente con la caduta del regime di Bachar al Assad in Siria, altro Paese parte dell’asse della Resistenza, anello di congiunzione fra Iran e gli Hezbollah. L’arrivo al potere del gruppo islamista HTS, sostenuto dalla Turchia, sembra interrompere quella continuità dell’Asse della Resistenza intorno all’Iran e apre scenari incerti, sia a livello nazionale, con sfide che vanno dalla ricostruzione del Paese e da una politica di inclusione delle diverse identità siriane, sia sulla scena internazionale, dove i nuovi governanti dovranno conquistare legittimità politica e i relativi benefici diplomatici ed economici, in particolare la sospensione delle sanzioni internazionali. Un cambiamento non indifferente per Israele e la sua strategia di guerra.
Attore importante di questo inaspettato cambiamento politico in Siria è senz’altro la Turchia, la quale sostenendo il nuovo governo di HTS, è entrata con maggiore protagonismo non solo sulla scena mediorientale, ma anche nei confronti dei più solidi alleati della Siria di Bachar, Russia e Iran. La Turchia, infatti, Paese membro della NATO, ha ora nei confronti della Siria due obiettivi essenziali: allontanare, se non eliminare, le forze curde posizionate nel nord della Siria, alla frontiera turca, e rispedire in Siria i circa tre milioni di rifugiati siriani presenti sul suo territorio. La prova dell’importanza del nuovo ruolo di Erdogan nella regione, sono stati gli immediati incontri ad Ankara dell’americano Blinken e di Ursula von der Leyen, arrivata quest’ultima in Turchia con una nuova offerta di un miliardo di Euro per gestire la sorte dei rifugiati siriani.
Ed infine, l’ultimo allargamento del conflitto per mano di Israele è, da pochi giorni, lo Yemen, dove i raid israeliani colpiscono i ribelli Houthi e la capitale Sanaa, ultimo anello della resistenza iraniana. Da non dimenticare, al riguardo, la posizione strategica dello Yemen rispetto al Mar Rosso, attraverso il quale transita un terzo del traffico globale di containers.
Nell’attesa che il nuovo Presidente degli Stati Uniti si installi fra venti giorni alla Casa Bianca, il Medio Oriente continua la sua trasformazione geopolitica, oscurando tuttavia un fronte di guerra sul quale si sono spenti i riflettori e cioè sui Territori occupati, compresa la Cisgiordania. Senza dimenticare che la prospettiva di una soluzione del conflitto israelo- palestinese si allontana sempre più, insieme alla prospettiva di due Stati, diventata ormai un sogno di pace sempre più difficile da realizzare.