L’Italia che arranca in Europa

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Non passa giorno che fonti, istituzionali e non, inchiodino l’Italia in classifiche dove raramente il nostro Paese occupa le prime posizioni, più spesso lo si vede galleggiare in coda nei confronti europei, quando non di quelli mondiali.

Per quello che queste classifiche possono valere non è tuttavia inutile coglierne i messaggi, anche perché se non altro traducono la percezione che in Europa e nel mondo si ha dell’Italia.

Messi al sicuro alcuni dati oggettivi, come quello della popolazione, dove siamo quarti nell’UE a 28 e diventeremo terzi con l’uscita della Gran Bretagna, ma bloccati da una crescita zero e terzi al mondo per la popolazione più anziana. Teniamoci stretti, tra i dati confortanti quello che ci colloca come ottava economia mondiale e seconda economia manifatturiera d’Europa. Occupiamo buone posizioni nell’export dove siamo in decima posizione nel commercio mondiale (la prima è la zona euro, lontano davanti a USA e Cina) e nella capacità di risparmio, che però si trasforma poco in investimenti per i quali arranchiamo a metà classifica.

Per gli altri indici non abbiamo molto da inorgoglirci. A cominciare, come ci ricorda l’ISTAT, dalle nostre oltre 17 milioni di persone che vivono a rischio povertà o esclusione sociale, in un Paese più disuguale della media della trentina di quelli più sviluppati riuniti nell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici). In questa graduatoria, relativa ai Paesi UE, l’Italia occupa la sedicesima posizione, più diseguali di noi solo Cipro, Portogallo, Grecia e Spagna. Contribuisce a questa mediocre performance anche un nostro poco invidiabile record: quello di essere tra i Paesi UE che hanno gli stipendi più bassi. Doppiamente vittime in particolare i giovani laureati italiani: secondo EUROSTAT, solo il 52,9% di loro trovano lavoro entro tre anni dalla laurea, contro il 93,1 in Germania.

Siamo anche il Paese dove ha ripreso a crescere l’emigrazione, anche qui in particolare dei giovani, con una percentuale media di aumento che segna più del 10%, mentre contemporaneamente l’UE considera che in Italia è irregolare l’80% dei migranti approdati sul nostro territorio. Per completare il quadro, un sondaggio recente e contestato di You-Gov ci colloca al primo posto in Europa tra i Paesi in cui l’ostilità verso gli immigrati è più diffusa.

Non va meglio se si guarda a quello che accade nel mondo della scuola, dove si prepara il futuro del Paese: sempre nell’area OCSE, i nostri studenti detengono il record delle assenze ingiustificate e delle bocciature e questo nonostante che i nostri quindicenni trascorrano più tempo sui banchi di scuola dei loro coetanei in Finlandia o Germania (rispettivamente 50 ore per l’Italia contro le 36 degli altri due Paesi).

Meglio fermarsi qui, tralasciando il discutibile dato sull’indice di democrazia che ci vede fuori dai primi venti Paesi al mondo, ma prestando attenzione ai dati sul lavoro sommerso, l’evasione fiscale, la corruzione in Italia, la disoccupazione giovanile, la crescita stentata e il debito pubblico: tutti indici che peggiorano ulteriormente la posizione dell’Italia nelle classifiche UE e suggeriscono che questo Paese si colloca ai bordi dell’Europa non solo geograficamente.

Forse quelle forze politiche che sono tentate di far uscire l’Italia dall’UE farebbero bene a riflettere sui costi e benefici dell’operazione e spiegarci quali ne sarebbero i vantaggi per gli italiani.

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