La riapertura, in questi giorni, dell’Ambasciata italiana a Tripoli, offre l’occasione di riportare sotto i riflettori la complicata situazione in Libia, Paese scosso, da cinque anni a questa parte, da una grave crisi politica, istituzionale ed economica.
La situazione politica è infatti ben lontana da quella stabilità necessaria a porre fine alle divisioni interne e alle lotte etnico-tribali che da anni scuotono e frammentano la Libia , in particolare, dalla caduta del Colonnello Gheddafi nel 2011. Una stabilità oltretutto necessaria ad un Paese che ricopre una posizione geostrategica importante in Medio Oriente, possiede quasi il 40% del petrolio africano e grosse riserve di gas naturale, è ancora campo di battaglia per il sedicente Stato islamico e per il terrorismo ed è punto di partenza di importanti flussi migratori verso l’Europa.
Un tentativo di stabilizzazione della Libia, in preda ormai anche ad una forte crisi economica, è iniziato con l’accordo di Skhirat, in Marocco, nel dicembre 2015 che ha dato vita a un fragile Governo di unità nazionale, sostenuto dall’ONU e riconosciuto dalla comunità internazionale. E sono proprio le innumerevoli divisioni interne e le fazioni perennemente in lotta fra loro a rendere sempre più difficile il raggiungimento di una tale unità nazionale. Il Capo del Governo Fayez Sarraj, chiamato a costruire un processo di riconciliazione nazionale non nasconde le difficoltà quasi insormontabili a cui deve far fronte.
Per ora, essendo il Paese diviso in due, l’autorità di Sarraj si limita alla Tripolitania (parte occidentale della Libia). Il Parlamento eletto e riconosciuto nel 2014, con sede a Tobruk (est del Paese) non ha, ad oggi, votato la fiducia a questo Governo. Un’ opposizione dovuta da una parte alla pressione su molti parlamentari da parte del Generale Khalifa Haftar, comandante dell’autoproclamato esercito nazionale libico (Lna) e dall’altra, alla “fedeltà” degli stessi parlamentari ad un’entità libica “orientale”, la Cirenaica, sotto controllo militare del Generale e non riconosciuta dalla comunità internazionale. Non solo, ma nel settembre scorso, l’esercito del Generale ha conquistato in poche ore i principali porti della “mezzaluna petrolifera” libica, prendendo il controllo delle principali infrastrutture petrolifere del Paese.
Lo scontro militare in atto fra il Governo di unità nazionale e l’esercito di Haftar, ripreso con forza dall’estate scorsa, non promette, per il momento, nulla che possa portare ad un nuovo accordo o ad una soluzione del conflitto in corso. Non sono mancati tuttavia i tentativi di dialogo da parte di Serraj, tentativi che si sono scontrati con l’esigenza posta da Haftar, di ricoprire il ruolo di futuro leader di un esercito libico riunificato e libero dal controllo dell’autorità politica. Condizione ovviamente inaccettabile per Serraj.
Ma, come nel resto della regione, anche in Libia si gioca una partita in cui non sono assenti le potenze internazionali e le alleanze locali. Proprio mentre apriva l’Ambasciata d’Italia a Tripoli, mandando, anche da parte dell’Unione Europea, un segnale di sostegno al Governo di unità nazionale di Serraj, il Generale Haftar, con il sostegno dell’Egitto, moltiplicava i suoi incontri con i leader russi, chiedendo sostegno militare e alleanza. Richiesta che non dispiace affatto a Putin, intenzionato, dopo la Siria, a consolidare e allargare la sua influenza in Medio Oriente in un momento in cui pende sulla regione l’incertezza della futura politica degli Stati Uniti.
La situazione è effettivamente ad alto rischio di esplosione, con frequenti tentativi di golpe e dove, all’orizzonte, si intravedono solo deboli iniziative di riconciliazione nazionale sostenute in partcolare dall’Algeria. Ma vale la pena ricordare qui le parole pronunciate dal Ministro Minniti, in occasione dell’apertura dell’Ambasciata d’Italia, sull’accodo concluso tra Roma e Tripoli : “ La riapertura dell’ambasciata a Tripoli è un importantissimo segnale di amicizia nei confronti di tutto il popolo libico, dell’intero popolo libico, ed è un segnale di forte fiducia nel processo di stabilizzazione di quel Paese. (…) Lavoriamo, pertanto, per risultati concreti sui fronti del contrasto alla immigrazione illegale, al traffico di essere umani e sul fronte del controllo dei punti di transito migratorio alla frontiera sud fra Libia e Niger. Compatibilmente con le condizioni di sicurezza, miriamo inoltre a migliorare l’interscambio commerciale tra i nostri due Paesi (…) e la cooperazione bilaterale nel campo delle fonti energetiche rinnovabili e degli idrocarburi non convenzionali”.
Una domanda, Signor Ministro, ma quale sarà la strategia dell’Italia e dell’Europa per sostenere, in primis, il processo di stabilizzazione del Paese e convincere le parti in causa a firmare, se non la pace, almeno una tregua ?