Per il mondo e per l’Europa questo mese di giugno è stato denso di avvenimenti bellici e vertici internazionali, drammatici i primi e relativamente inconcludenti i secondi.
Gli avvenimenti si sono concentrati ancora una volta sui teatri di guerra, vecchi e nuovi. L’aggressione della Russia in Ucraina è cresciuta d’intensità e barbarie; si è ulteriormente aggravato lo sterminio in corso a Gaza e un nuovo pericoloso focolaio di guerra si è acceso con l’attacco di Israele e degli Stati Uniti all’Iran.
Di fronte a questi eventi, quello che resta dell’Occidente e dintorni ha avuto più di un’occasione di confronti in formati diversi: in Canada Il G7 dei Paesi più sviluppati e gli incontri di Ginevra con UE, Germania e Francia in un tentativo di dialogo con l’Iran.
Questa settimana è stato il turno del Vertice della NATO all’Aja il 24-25 seguito dal Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo a Bruxelles.
Il bilancio complessivo di questi confronti tra alleati, o ex-alleati, non ha dato al momento grandi risultati. Hanno prevalso in Canada, insieme con le permanenti divergenze tra le due sponde dell’Atlantico, dichiarazioni di buone intenzioni, mentre a Ginevra il meritorio tentativo di dialogo dell’Unione Europea è stato bloccato dai bombardieri USA sui siti nucleari, fuori da ogni dialogo con l’UE, un interlocutore che Trump non vuole tra i piedi nella vicenda iraniana così come in quella ucraina.
Il clima che si respira è quello di una dissociazione radicale tra chi ancora crede nella diplomazia e nel dialogo e chi ha come unico riferimento la forza distruttrice delle armi e la conquista di nuovi territori.
Campione di questa (in)cultura, insieme con Russia ed Israele, si conferma l’Amministrazione USA con Donald Trump, che di suo vi aggiunge comportamenti contraddittori, fonti di imprevedibilità e incertezza, quanto basta per mandare in cortocircuito ogni tentativo di dialogo.
Con questo ginepraio è costretta a fare i conti l’Europa, divisa al proprio interno e priva di una politica estera e di difesa comune. Lo si è visto nel G7 in Canada dove ha prevalso un’intesa franco-britannica, senza ancora una convergenza tedesca, sul fronte delle guerre israeliane e non ha aiutato una coesione politica europea la posizione non chiara dell’Italia, per quel poco che potrebbe contare, nonostante le millantate pretese del governo di offrirsi come mediatore tra le due sponde dell’Atlantico, utile per distrarre dai seri problemi di politica interna.
Al Vertice NATO dell’Aja era inevitabile protagonista il “padrone” dell’Alleanza atlantica, il presidente USA, venuto in Europa non per dialogare con i vecchi alleati ma per imporre i suoi diktat a proposito della spesa militare e, per aumentare incertezza e confusione, far planare sul Vertice la minaccia della guerra commerciale dei dazi, in vista della scadenza della tregua al prossimo 9 luglio.
Al Vertice NATO non partecipa l’UE, ma 23 suoi Paesi membri (ne sono fuori Austria, Cipro, Irlanda e Malta), più del solito liberi di muoversi in ordine sparso alla corte di Donald Trump, in particolare sul versante militare, diversamente da quanto avviene su quello della politica commerciale, una competenza esclusiva in capo all’UE.
Con la sola resistenza fragile in prima linea della Spagna, gli alleati NATO si sono arresi al “capo di guerra” Trump per portare entro una decina d’anni la spesa militare, comprensiva di quella “civile” delle infrastrutture utili per la sicurezza e quella per il sostegno all’Ucraina, fino alla soglia del 5% sul PIL, cui già si stanno avvicinando i Paesi confinanti con la Russia, mentre si fermerebbero sotto gli Stati Uniti.
Sono numeri da capogiro per molti stremati bilanci pubblici dei Paesi UE (per l’Italia, zavorrata da un debito pubblico di oltre tre mila miliardi, è prevista una spesa supplementare di circa 10 miliardi all’anno nel prossimo decennio) che dovranno inevitabilmente sacrificare altre voci di spesa, come quella sociale. Tutto questo con un’Alleanza atlantica ormai in corso di decomposizione che spingerà l’Unione Europea a dotarsi di una sua difesa comune, pena esporsi a pericolose avventure per la sua sicurezza.
Senza dimenticare che in attesa di un’autentica e autonoma difesa comune europea, la cui costruzione richiederà molto tempo, è alto il rischio che si sviluppino separatamente squilibrati riarmi nazionali, come nel caso della Germania del cancelliere Merz, intenzionato a creare l’esercito più forte d’Europa.
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