Che il momento sia difficile un po’ ovunque nel mondo, in particolare dove continuano ad infuriare le guerre, non ci deve fare dimenticare la pace fragile che vive l’Unione Europea e le sue debolezze politiche e istituzionali. Se fosse ancora necessario ci sta pensando Mario Draghi a suonare l’allarme con un Rapporto appena pubblicato sul futuro dell’Unione Europea o, meglio, su che cosa fare perché l’UE abbia un futuro.
Il documento che Draghi, a grandi linee, aveva già annunciato al Parlamento europeo mercoledì scorso e che ha presentato lunedì alla Commissione, dalla quale il Rapporto era stato richiesto, porta un titolo in parte ingannatore di “Rapporto sulla competitività”, ma l’ambizione va oltre e punta a disegnare le riforme necessarie per la sopravvivenza della straordinaria avventura dell’integrazione europea, non solo quella economica ma più ancora quella politica.
Per il rapporto di Draghi, non a caso, la consegna attesa a giugno dopo le elezioni è stata ritardata per dare il tempo ai nuovi Vertici UE di insediarsi e riavviare i lavori. Un insediamento che riguardava in particolare la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, adesso riconfermata per un secondo mandato, alle prese nei prossimi giorni con due scadenze importanti. La prima, la formazione del Collegio dei commissari con l’affidamento di portafogli e priorità, anche questa rinviata alla settimana prossima; la seconda, l’elaborazione del programma di legislatura che la nuova Commissione dovrà presentare al Parlamento europeo nel quadro di un difficile dialogo con i 27 governi nazionali.
Si tratta di un Rapporto di 400 pagine e ci sarà tempo per valutarne i contenuti e registrare le reazioni dei vari attori in campo su temi così vasti, dalle forze politiche presenti nel Parlamento europeo ai Capi di Stato e di governo UE, dagli interlocutori economici e finanziari e fino alle organizzazioni sindacali e della società civile europea.
Ma qualcosa è già possibile anticipare, tanto sulla tonalità del rapporto che sulle proposte politiche e istituzionali. La tonalità è quella fortemente segnata da una lettura impietosa delle debolezze dell’UE e dall’urgenza di correre ai ripari prima che sia tardi, un’invocazione che suona drammatica come un “incubo”, parola pronunciata in proposito dal compassato ex-presidente della Banca centrale europea davanti al rischio di una “agonia” dell’Europa.
I temi affrontati non risparmiano nessuno dei nodi essenziali da sciogliere per liberare l’UE dalle sabbie mobili in cui rischia di affondare: dagli investimenti indispensabili, stimati attorno a 800 miliardi annui, per contrastare il calo della produttività europea alla pericolosa dipendenza dalle materie prime necessarie al futuro della nostra economia; dalla necessità di affrontare la transizione climatica con un’attenzione alla sua sostenibilità sociale fino all’urgenza di una risposta comunitaria in materia di sicurezza e difesa. Tutti temi accompagnati da considerazioni di natura finanziaria, compresa una revisione degli strumenti di bilancio dell’UE, con la prospettiva di ricorrere ad un debito pubblico comune. Numeri che già hanno provocato una prima opposizione dalla Germania e dai “Paesi frugali”, Olanda in testa. Sarà interessante vedere la risposta della Francia, in crisi politica e con difficoltà economiche e quella dell’Italia, grande beneficiaria del debito comune in risposta alla pandemia, ma costantemente ambigua sulla adesione al processo di integrazione politica.
Per raggiungere gli obiettivi ambiziosi indicati da Draghi l’attuale macchina istituzionale, lenta e zavorrata dal voto all’unanimità, ha bisogno di una manutenzione straordinaria, sfruttando meglio le opportunità offerte dall’attuale Trattato, da riformare non appena ve ne siano le condizioni politiche.
Senza aspettare troppo, perché di tempo se ne è già perso abbastanza.