La Siria esce dal suo passato

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Mentre il 9 maggio l’Europa festeggia timidamente la sua festa e ricorda i valori sui quali ha costruito anni di pace e di democrazia, dall’altra parte del Mediterraneo e nel cuore del Medio Oriente giungono echi di inquietanti movimenti e cambiamenti sullo scacchiere regionale, in particolare dalla Siria, Paese martoriato da più di un decennio di guerra civile. 

È infatti di questi giorni la decisione di riammettere la Siria in seno alla Lega araba, dalla quale era stata espulsa nel 2011, anno in cui iniziò anche a Damasco una primavera araba, immediatamente repressa nel sangue e sfociata in una guerra civile non ancora conclusa al giorno d’oggi. Una primavera che aveva lo stesso obiettivo delle primavere sbocciate in altri Paesi, e cioè quello di abbattere un regime autocratico che si tramandava di padre in figlio e di sperare in tempi più democratici. Le conseguenze della guerra civile e le violenti risposte del regime di Bashar al Assad, sono ancora molto presenti nelle nostre memorie : mezzo milione di vittime, più di 13 milioni di sfollati e rifugiati e uso senza ritegno di armi chimiche contro la popolazione. 

La decisione della Lega araba, che riabilita Bashar al Assad dopo 12 anni, comporta non solo una chiara vittoria, anche se simbolica, di un dittatore sanguinario, ma testimonia anche dei cambiamenti in corso nella regione, fra nuove alleanze regionali e presenze di nuovi attori globali sullo scacchiere mediorientale.

Un breve percorso a ritroso ci permette di ricordare alcuni passaggi importanti di questi dodici anni di guerra: un primo periodo fra il 2011 e il 2015, in cui la Siria sprofondò nella guerra, isolata sia a livello regionale che internazionale; un secondo periodo fra il 2015 e il 2020 circa, in cui si avverte una significativa inversione di tendenza con l’intervento militare diretto della Russia e dell’ Iran che ha permesso a Bashar al Assad di rimanere al Governo, continuare la guerra civile e combattere nello stesso tempo il nuovo nemico, l’Isis, lo Stato islamico. Al riguardo Bashar ha potuto contare sull’assenza e l’indifferenza dell’Occidente e sul sostegno dei suoi alleati.

Oggi, Bashar al Assad regna di nuovo sulla maggior parte del Paese, non ha mai fatto retromarcia nelle sue azioni di repressione violenta della sua popolazione. La riabilitazione e la riammissione nella Lega araba indica in primo luogo che le primavere arabe e i loro obiettivi di abbattere le dittature sono definitivamente chiusi e che la stabilità della Siria, in un Medio Oriente in piena evoluzione, è senz’altro una priorità per i Paesi arabi e per la regione nel suo insieme. 

Il Medio Oriente infatti ha visto in questi ultimi mesi un sostanziale riavvicinamento, mediato dalla Cina, fra Iran e Arabia saudita, da sempre in conflitto sulla scena mediorientale e notoriamente su posizioni opposte rispetto alla Siria. Un riavvicinamento dalle conseguenze importanti non solo per quanto riguarda la ricostruzione e la stabilità della Siria, ma anche, in prospettiva, per un processo di pace nello Yemen. D’altro canto, visto il ruolo svolto dalla Russia nel mantenere Bashar al Assad al potere e visto l’impegno nella guerra che la Russia sta muovendo all’Ucraina, è di particolare importanza per Bashar al Assad trovare nuovi alleati e riannodare quei fili con i Paesi arabi in grado di garantire futuro e ricostruzione al Paese che lui stesso ha distrutto.

È un riconoscimento di Bashar al Assad che inquieta profondamente e che interroga, affinché non rimangano impuniti, sul seguito da dare ai suoi crimini di guerra.

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