La lezione greca per l’Unione Europea

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Molto si è enfatizzata di questi tempi l’eredità culturale e politica della Grecia per l’Occidente.

Un’eredità antica, aggiuntasi ad altri patrimoni che hanno arricchito la cultura e la politica dell’Europa. Altre capitali, oltre Atene, ne sono state la culla, dalla Gerusalemme della cultura giudaico-cristiana, a Roma, laboratorio del diritto per il nostro continente fino alla Parigi di “Liberté, Egalité, Fraternité”.

In questi ultimi giorni arriva dalla Grecia una nuova lezione per l’Europa, costringendo l’UE a gettare la maschera e a dire chiaramente che cosa è e che cosa vuole essere in futuro. Se quella dei falchi che, ossessionati dai parametri della finanza, diventano avvoltoi pronti a mangiarsi anche i poveri resti dell’economia greca, infierendo su una popolazione allo stremo o quella delle colombe che cercano di tenere a galla, con la Grecia, anche l’Unione Europea.

Questi cinque mesi di infiniti negoziati, di vertici europei a ripetizione, di un referendum dettato più dalla disperazione che da una strategia di dimensione europea non sono stati un bello spettacolo, e certo non sono serviti a riaffezionare i cittadini europei al progetto comunitario, anche perché in tutto questo di comunitario c’è stato ben poco.

È stato un confronto duro tra i governi nazionali, quelli del centro-nord contro quelli del sud, con un ruolo non all’altezza della situazione da parte delle Istituzioni comunitarie, a eccezione della Banca centrale europea che di ruolo ne ha dovuto assumere anche troppo.

Su tutto, l’ombra lunga della Germania o, forse, di due Germanie, quella del ministro delle finanze Wolfgang Schäuble e quella della Cancelliera Angela Merkel, debolmente affiancata dal Presidente francese François Hollande; assente non giustificato Matteo Renzi. Quattro nomi per quattro concezioni diverse dell’Unione Europea e del suo futuro: quella dell’integrazione economica e finanziaria di Schäuble, quella della prospettiva di un’unione politica della Merkel, quella delle sovranità confederate di Hollande e quella delle buone intenzioni federaliste di Renzi.
Comunque vada a finire la vicenda greca – e qualunque sia la decisione presa sarà una storia ancora lunga – ne rimarrà una traccia profonda nella storia pericolante dell’UE. Perché questa possa continuare la sua strada in salita, occorrerà scegliere tra i diversi modelli di Europa sul tappeto, se non addirittura nascosti sotto.
E bisognerà farlo con urgenza, in questo mondo che cambia, con molteplici focolai di guerra ai nostri immediati confini, dall’Ucraina al Medioriente fino sulle sponde del Mediterraneo, come ci ricordano gli attentati in Tunisia e quello al Consolato d’Italia al Cairo.

Un’urgenza imposta anche da un’economia europea che stenta a riprendersi e dall’occupazione che non decolla in misura significativa. Senza contare l’instabilità che permane nell’area balcanica, dove a distanza di vent’anni non sono sopiti i conflitti locali e dove ci mancherebbe solo che si manifestassero altre tensioni con la Grecia, membro sensibile della NATO. Situazioni e rischi che non sfuggono agli Stati Uniti, né alla Russia e alla Cina che guarda con attenzione ai porti della Grecia.

C’è da sperare che tutto questo non sfugga nemmeno alla Germania e ai suoi Paesi amici, con il rischio di approfondire la faglia che già rende difficile la convivenza tra l’Europa del nord e quella del sud.
Di quest’ultima sono state capitali importanti Atene, Gerusalemme e Roma nell’antichità, Parigi all’alba della modernità europea. È troppo sperare che, in questa stagione difficile e dopo le tragedie del secolo scorso, meriti di aggiungersi a queste capitali anche Berlino, non più una capitale responsabile di tragici conflitti, ma una capitale europea, più generosa di quanto si è dimostrata in questi ultimi tempi.

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