Italia, un paese da Operetta?

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Il balletto che ha accompagnato il risultato di queste nostre singolari elezioni, è stato scandito nella stampa estera in tre tempi, quasi a ritmo di valzer, come ben si addice ad una corte di vecchie dinastie al tramonto.

Primo tempo del valzer: l’ansia divertita sull’esito finale del voto. Dopo mesi di sondaggi senza troppe esitazioni e la conferma clamorosa e «irreversibile» degli exit poll, gli osservatori stranieri hanno lanciato tranquilli le loro prime corrispondenze sul tono dell’ «avevamo detto», è andata come si sapeva e come era giusto che fosse. In estrema sintesi: gli italiani saranno pure gente curiosa, ma un po’ di buon senso ce l’hanno ancora e hanno finalmente detto basta ad anni di governo disinvolto e ormai senza credibilità  . E qui è andata male soprattutto agli inviati delle TV straniere che non si potevano permettere di ritardare l’annuncio liberatorio nei primi TG della sera.

Secondo tempo: qui hanno avuto più fortuna, per una volta, i commentatori della carta stampata, che hanno fatto in tempo a ritirare i pezzi preparati da tempo e appena inviati, per sostituirli precipitosamente con articoli densi di punti interrogativi. Proprio come si conviene ad un Paese che non finisce di sorprendere e che all’estero si fa fatica a capire: sondaggi ed exit poll più che rassicuranti e proiezioni progressivamente rovesciate mentre avanza lentamente – ma com’è che l’Italia è sempre così lenta e misteriosa? – uno scrutinio elettorale al cardiopalmo. Ma come, si chiedono ammutoliti, sono cinque anni che il popolo si lamenta, non arriva alla fine del mese, si vergogna di quello che capita in Italia e di quello che fa il Presidente del Consiglio all’estero e nel giro di pochi giorni, forse di poche ore, cambia parere e rovescia il pronostico? E mentre le TV smorzano le prime affermazioni, la carta stampata si interroga su questa incredibile Italia, sempre la stessa che non ti puoi fidare e per questo così in fase con chi l’ha governata. Seguono analisi sofisticate sul popolo delle partite IVA, sull’Italia settentrionale contro Roma (ma non governavano proprio loro a Roma?), sull’antipatia per lo Stato e le tasse magari da chi le tasse le evade e dallo Stato esige servizi efficaci.

Terzo tempo (ma sarà   l’ultimo?) del valzer allegro che ha divertito il mondo ma molto meno l’Italia e l’Unione europea: bisogna ricontare i voti, chi ha perso ha deciso che «deve vincere» e invoca brogli, pardon «irregolarità  ». Gli osservatori stranieri aspettano a crederci talmente gli è stato ripetuto in questi anni che hanno capito male, non era questo che si voleva dire. E tuttavia sentirselo dire da chi non solo ha la responsabilità   del regolare svolgimento del voto, ma anche tutti gli strumenti per prevenire, controllare e verificare eventuali scorrettezze è dichiarazione che lascia senza parole gli osservatori stranieri. Lasciamo stare gli americani per i quali contiamo poco qualunque cosa facciamo. Ma gli inglesi (memori di Churchill che a chi gli disse che aveva due soli voti di vantaggio rispose sereno: «Bene, ne abbiamo uno di troppo!») hanno dovuto far ricorso al loro invidiabile self control per non darci di matto. Sconcertati anche i tedeschi, magari più lenti ma più disciplinati, che si erano appena congedati tranquillamente dal Cancelliere uscente nonostante fosse stato sconfitto di misura dopo una sorprendente rimonta dell’ultimo minuto. E qui fortuna che i francesi avevano altre gatte da pelare con le piazze in ebollizione e un monarca populista che, anche lì non finisce di tramontare: si sono sbrigati a liquidarci con la solita punta di sufficienza, salvo quelli che hanno evocato il «mal comune mezzo gaudio».

Alla fine gli spettatori si sono ripartiti in due gruppi: quelli rassegnati a questa Italia che non cambierà   mai e del «vatti a fidare» e quelli, i pochi tifosi irriducibili, che non si sa se per amore o disperazione, continuano a vedere in tutto questo nostro agitarci una sorprendente vitalità  , addirittura capace di dare un nuovo impulso all’Europa. E, sotto la loro lente di antropologi perplessi, noi tribù indigena, che in questa Europa cerchiamo una risposta alla domanda: exit poll o exit Italia?

Franco Chittolina