Israele alla ricerca di un Governo

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Il 17 settembre scorso gli israeliani si sono recati alle urne per la seconda volta nel giro di pochi mesi, con l’obiettivo di eleggere un nuovo Governo. Impresa rivelatasi molto complessa e difficile e dove il primo Ministro uscente, Benjamin Netanyahu, in carica senza interruzione dal 2009, sembra aver perso, insieme al suo partito, il Likud, la fiducia di una buona parte degli elettori.  Questo secondo esercizio elettorale, dopo quello infruttuoso dell’aprile scorso, si presenta ancora una volta con risultati insufficienti a garantire una immediata, chiara e conciliabile coalizione di governo.

Le forze in campo arrivate ai primi posti, tutte iscritte a destra sebbene con modulazioni e intensità diverse, si sono quindi nuovamente affrontate ottenendo i seguenti risultati, tenendo presente che per formare un governo servono 61 seggi: il Likud appoggiato dalla destra religiosa e dagli ortodossi ha ottenuto 55 seggi, il Partito di centro destra “Blu Bianco”, di recente costituzione, (Kahol Lavan) di Benny Gantz, 56 seggi, mentre il Partito laico e nazionalista di Avigdor Lieberman, Israel Beytenu, ha ottenuto 9 seggi, confermandosi ancora una volta un ago della bilancia per un’inevitabile futura coalizione. Sono risultati simili a quelli usciti dalle urne nello scorso aprile e indicano tutte le difficoltà degli elettori ad esprimere il profilo che il futuro governo dovrebbe avere.

Ma, queste elezioni hanno tuttavia portato anche una grande novità: per la prima volta gli arabi israeliani, guidati da Ayman Odeh, si sono presentati in una Lista Unita, ottenendo in tal modo 13 seggi alla Knesset, arrivando cosi’ in terza posizione. Un risultato notevole, raggiunto attraverso una forte mobilitazione degli arabi (60% di affluenza) e rompendo una tenace tradizione che impediva ai partiti arabi di ipotizzare una benché minima collaborazione con partiti sionisti. Unica eccezione nella loro storia il sostegno dato a Ytzhak Rabin in occasione degli Accordi di Oslo nel 1992. 

Ed è in questa nuova strategia che la Lista araba unita, divenuta un altro importante ago della bilancia, ha deciso di far pesare i propri risultati e di offrire a Benny Gantz il sostegno per costituire una nuova coalizione. Una strategia adottata certamente con difficoltà e sofferenza dai deputati arabi, rappresentanti di varie sensibilità ideologiche delle loro rispettive comunità, visto che Benny Gantz è l’ex generale di Tsahal che ha guidato due offensive contro la Striscia di Gaza, nel 2012 e nel 2014. 

Certo è che si tratta, a prescindere da come verrà valutato politicamente o accettato da Gantz (le prime reazioni sono piuttosto gelide), di un gesto politico rilevante, fatto in una stagione in cui le tensioni fra israeliani e palestinesi sono prive di prospettive per un equo negoziato di pace. Benché Gantz abbia, sulla questione palestinese, un approccio simile a quello di Netanyahu, la Lista araba unita ha tuttavia presentato alcune condizioni essenziali per formare una coalizione e in primo luogo ha chiesto l’abrogazione della contestata legge su Israele Stato-nazione degli ebrei, adottata il 18 luglio 2018. 

Rimane il fatto che, per quanto riguarda la questione palestinese, l’eredità lasciata da Netanyahu in questi suoi lunghi anni al potere è difficilmente sradicabile e la prospettiva di una soluzione a due Stati sembra ormai sempre più difficile da raggiungere. Non solo, ma il leader del Likud non ha esitato a promettere, in caso di vittoria, l’annessione di parte della Cisgiordania, nella prospettiva di dare al Paese “confini sicuri e permanenti”.

Ancora non si sa quali saranno gli sviluppi di questo nuovo tentativo di dare un Governo ad Israele e se Netanyahu sarà effettivamente giunto al capolinea della sua carriera politica. E’ tuttavia chiaro che, in un contesto di stallo completo di un processo di pace, gli arabi israeliani hanno deciso di giocare un nuovo ruolo, tutto ancora da scrivere, all’interno della politica israeliana. 

Una svolta molto significativa alla quale dovrà prestare grande attenzione la comunità internazionale e l’Europa in particolare,  per cogliere tutte le possibili opportunità di dialogo e di rispetto del diritto internazionale da parte di Israele che questa svolta può comportare. 

E’ importante infine ricordare qui alcune frasi  della lettera che lo scrittore israeliano David Grossman ha scritto ai cittadini arabi alla vigilia del voto: “A voi cittadini arabi di Israele, donne e uomini di opinioni diverse, a voi che appartenete a una minoranza costantemente inibita, a voi, miei concittadini, rivolgo queste frasi. Nonostante tutta la vostra frustrazione e la vostra rabbia per il disprezzo e l’indifferenza con cui lo Stato di Israele vi tratta da decenni, e nonostante disperiate ormai in un miglioramento della vostra condizione, nonostante tutto questo io vi chiedo, amici, di correre alle urne.  (….) Una mancata partecipazione alle elezioni di martedì, in cui ogni voto sarà importante e decisivo, significa rinunciare all’unica possibilità che la minoranza araba odierna ha di migliorare la propria situazione e di entrare nel gioco democratico. (…)

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