Si moltiplicano in questi giorni le grida di allarme sul futuro dell’Europa. Vengono da nomi importanti: Jean – Claude Juncker, il nuovo Presidente della Commissione europea; Helmut Khol, ex Cancelliere tedesco ai tempi dell’abbattimento del Muro di Berlino e Federica Mogherini, Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza UE. Tre nomi che coniugano passato e presente dell’Unione Europea, uniti da una forte preoccupazione per il suo futuro.
Di Helmut Kohl è appena uscito un libro che già dice tutto nel titolo: “In ansia per l’Europa”. A parte il giudizio severo sulle politiche europee dei suoi successori, da Gerhard Schroeder ad Angela Merkel, sua creatura, colpisce la preoccupazione per il futuro di quest’Europa incapace di accompagnare adeguatamente la vita della moneta unica e di costruire rapporti di partenariato con la Russia, finendo oggi nel “rischio – Ucraina”.
Un tema quest’ultimo al centro delle preoccupazioni – insieme con il conflitto israelo – palestinese – di Federica Mogherini, che opta per toni severi nei confronti della Russia dopo le recenti elezioni nella parte orientale dell’Ucraina, una vicenda che potrebbe mettere in crisi il processo di pace convenuto recentemente a Minsk. Il suo è un atteggiamento cauto sul ruolo della Germania che si sta affacciando nella ancora evanescente politica estera dell’UE e una volontà decisa di affrontare il percorso verso il riconoscimento di uno Stato palestinese, dopo quello recente formalizzato dalla Svezia, con il rammarico che ognuno si muova per conto proprio, senza una condivisione europea.
Chi però ha più ampi motivi di preoccupazione è Jean – Claude Juncker, alla guida di una Commissione che si è insediata pochi giorni fa e dovrà affrontare, di qui al 2019, molti problemi irrisolti nelle legislature passate e sfide nuove che si affacciano all’orizzonte. Sul tavolo del “governo europeo” pesa come un macigno la crisi esplosa nel 2009 e tuttora in corso, con il dissesto dei conti pubblici, la caduta di ricchezza e reddito, la contrazione dell’occupazione e l’erosione strisciante del welfare e dei diritti fondamentali.
Una prima risposta arriverà entro fine anno col piano di investimenti di 300 miliardi di euro destinato ad accrescere occupazione e consumi: dovrebbe coniugare risorse pubbliche e private e avvalersi degli strumenti finanziari della Banca europea per gli investimenti (BEI).
Spetterà poi a questa nuova Commissione pilotare la Grecia fuori dalla sorveglianza della Troika, di cui la Commissione fa parte con la Banca centrale europea (BCE) e il Fondo monetario internazionale (FMI). Nell’area mediterranea l’attendono sfide difficili, come quelle dell’instabilità della regione all’origine di inarrestabili flussi migratori del cui contrasto dovrebbe occuparsi l’operazione “Triton”, in sostituzione di “Mare nostrum”, finora in carico all’Italia. Purtroppo le risorse, finanziarie e umane, a disposizione per “Triton” sono molto limitate e poche sono le speranze di rafforzarle: il bilancio UE è ridotto all’osso e deve inoltre fare i conti con il rifiuto inglese di versare il dovuto complemento di oltre due miliardi di euro oltre che di rispettare le regole condivise della libera circolazione.
Intanto non c’è tempo da perdere: entro fine novembre la Commissione deve esprimere la sua valutazione sulle leggi finanziarie dei Paesi membri e sarà per tutti un momento di verità. Lo sarà in particolare per Italia e Francia che sperano in qualche forma di flessibilità, speranze che gli altri Paesi – con i conti a posto o trattati a suo tempo con severità – non sono disposti ad incoraggiare. Un atteggiamento che spiega, almeno in parte, le tensioni insolite esplose a inizio mese tra Juncker e Renzi , in occasione delle previsioni economiche d’autunno dell’UE, non proprio allegre per l’Italia.