Triton sostituisce “Mare Nostrum”: allarme tra le associazioni che accolgono i migranti

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La nuova operazione di presidio delle coste e di protezione dei migranti in fuga dalle guerre e dalle epidemie dell’Africa si chiama Triton, (come il figlio di Poseidone che, nella mitologia greca aiuta gli argonauti a trovare la rotta) e prende da ora il posto di “Mare Nostrum”.

L’avvio della nuova operazione è stato commentato positivamente sia dalla commissaria europea responsabile per Giustizia e Affari interni Cecilia Malmstrom, sia dai ministri italiani dell’Interno Angelino Alfano e della Difesa Roberta Pinotti.

Malmstrom ha annunciato con soddisfazione l’avvio dell’operazione, reso possibile dall’adesione all’iniziativa lanciata dall’Agenzia europea per il controllo delle Frontiere, Frontex e ha definito Triton “un importante strumento per supportare gli sforzi delle autorità italiane, nonché un segno della solidarietà europea”.

Secondo la commissaria l’operazione è “una delle tante misure messe in campo dalla Commissione Europea per aiutare l’Italia a fronteggiare i crescenti flussi migratori nel Mediterraneo” definito “mare e responsabilità europea”.

Sottolineando la grande partecipazione all’operazione (21 Stati Ue o Schengen) Malmstrom si è detta certa che “Triton riuscirà a salvare molte vite e contribuirà agli sforzi umanitari dell’Italia”.

“Triton – ha concluso – sarà realizzare nel rispetto degli obblighi internazionali dell’UE e dei diritti dei migranti, in ossequio al principio del non respingimento”.

Alfano, invece ha sottolineato, invece che “per Mare Nostrum sono stati spesi 114 milioni di euro (9,5 milioni al mese), mentre Triton costerò 3,5 milioni di euro e sarà pagata da Frontex e ci costerà zero euro”.

Triton limiterà il proprio pattugliamento delle acque a un raggio molto inferiore rispetto a Mare Nostrum e anche se tra le due operazioni è previsto un periodo di transizione di sessanta giorni, la soluzione trovata non soddisfa tutte quelle associazioni (Centro Astalli, comunità di Sant’Egidio, Caritas Italiana, Acli, Arci, Asgi, Cnca, Fondazione Migrantes, Rete G2, Chiese Evangeliche in Italia, Emmaus, Giù le frontiere, Libera, Razzismo Brutta Storia, Rete Primo Marzo, Save The Children Italia, Sei Ugl, Terra del Fuoco, Uil, Cgil Casa dei Diritti Sociali-Focus) che nei giorni scorsi avevano sottoscritto un appello in cui chiedevano al governo italiano di non sospendere Mare Nostrum “per evitare altre stragi nel mediterraneo”.

Con la fine di Mare nostrum e l’inizio di Triton, si apre una nuova fase di incertezza. C’è infatti uno spazio di mare che era coperto da Mare Nostrum e non lo sarà da Trino (dalla Libia alle acque territoriali italiane), ad oggi non è chiaro che cosa accadrà in quell’area e chi soccorrerà i migranti.

Si sa per certo, perché lo ha spiegato il direttore generale di Frontex Jil Arias Fernandez in una conferenza stampa qualche settimana fa che “le navi di Triton non sono adatte al salvataggio in mare, e inoltre non ci spingeremo oltre la frontiera italiana come faceva la Marina militare”.

Le associazioni firmatarie dell’appello hanno in più occasioni ribadito che l’avvio di “Triton” non dovrebbe comportare necessariamente la fine di “Mare Nostrum” i cui costi sono definiti “sostenibili” soprattutto in ragione delle migliaia di vite umane salvate.

A poco servono le frasi del governo italiano, la cui ministra per la Difesa ha affermato in conferenza stampa  che “la legge del mare impone di salvare chi è in difficoltà”, e che “la Marina, così come la Guardia costiera non si sottrarranno al loro dovere”.

A tutti è evidente i rischio che lo spazio di mare che era presidiato con Mare Nostrum (che si spingeva a 172 miglia dalle coste italiane) non lo sarà più con Triton (il cui limite è 30 miglia dalle coste) diventando nuovamente teatro di tragedie come il naufragio di Lampedusa dell’ottobre 2013.

Testo a cura di Marina Marchisio

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