I pericoli della Libia

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Sono trascorsi ormai tre anni dall’intervento militare della NATO in Libia, condotto in particolare da Francia, Regno Unito, Italia e Stati Uniti a poche settimane di distanza dall’inizio delle Primavere arabe in Tunisia e in Egitto e conclusosi con la morte di Muammar Gheddafi. Un intervento voluto e deciso per impedire una guerra civile che si annunciava e che non avrebbe risparmiato l’uso della violenza nei confronti di quella parte di popolazione che aveva deciso di opporsi alla dittatura quarantennale di Gheddafi e di tutto il suo capillare entourage.

All’intervento militare, di incerta legittimità e non privo di vittime, ncon è tuttavia seguita una fase diplomatica e politica che aiutasse il Paese, particolarmente fragile, a disegnare una transizione democratica, a costruire un futuro di stabilità e sicurezza, a favorire una riconciliazione nazionale e a garantire, attraverso nuove Istituzioni, uno stato di diritto. Tale fragilità si è concretizzata, in questi ultimi tre anni, in una totale mancanza di ordine pubblico, in un’insicurezza generalizzata, in un’acuta crisi economica, in una paralisi totale delle Istituzioni, in nessun miglioramento di vita per la popolazione e, alla fine, in una mancanza di sostegno popolare alla transizione. In questa situazione, si sono aperte le porte ai molti interessi divergenti e contrari ad un cambiamento e a quella che sembrava essere una “rivoluzione”.

Oggi la Libia, sempre divisa in aree tribali e di potere, è più che mai coinvolta in un conflitto interno tra milizie armate, più o meno indipendenti e fuori controllo, deboli forze armate libiche e gruppi armati di matrice islamica, come l’inquietante Ansar al Charia, che vanta legami con Al Qaeda e autore di svariati attentati terroristici. Ed è proprio di questi ultimi giorni lo scontro violento, con decine di morti, a Bengasi fra l’ex generale in pensione Khalifa Haftar, ora alla testa di un esercito paramilitare e milizie integraliste islamiche, nonché l’attacco armato alla sede del Parlamento libico a Tripoli, volto, secondo l’ex generale “a sradicare gli islamisti dal potere”.

Dal punto di vista economico, la Libia conta quasi esclusivamente sulle sue ingenti risorse petrolifere e di gas, presenti soprattutto in Cirenaica, da dove, nel 2011, è partita la contestazione anti Gheddafi. Ora, in assenza di un progetto di diversificazione, la produzione è diminuita dei 2/3, ed è essenzialmente nelle mani di gruppi di separatisti della Cirenaica e nelle mire degli estremisti islamici.

Una situazione quindi potenzialmente esplosiva e che tocca da vicino l’Europa e l’Italia in particolare. In primo luogo per la posizione geostrategica della Libia, crocevia fra Medio Oriente e Nord Africa e da dove imbarcano senza controlli centinaia di migranti verso le nostre coste. In secondo luogo perché dalla Libia l’Italia importa circa un quarto del petrolio che consuma e in terzo luogo perché ne va anche della nostra sicurezza, visto che la Libia dista solo 350 chilometri da Lampedusa. È estremamente importante quindi che l’Europa e l’Italia rivolgano un’attenzione particolare a questo Paese, alla sua necessaria transizione, al consolidamento delle sue Istituzioni e all’instaurazione di uno stato di diritto, perché da questo dipende la stabilità di tutto il sud del Mediterraneo.

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