Germania, è tempo di migrare

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“Settembre, andiamo. È tempo di migrare”: chi non ricorda il primo verso della poesia “I pastori” di Gabriele D’Annunzio? A rileggerla oggi viene da pensare alla scena politica europea, poco sensibile alla poesia, molto più alla finanza e all’economia e ai loro legami con la supremazia tedesca nell’Unione Europea.
Qualcuno penserà alle migrazioni massicce di un tempo, e oggi di nuovo in movimento, verso un Paese in grado di dare lavoro e reddito ai cittadini della periferia d’Europa: fu vero dalla metà del secolo scorso, torna di attualità in questo periodo di crisi che vede riprendere importanti flussi migratori verso la Germania, oggi prevalentemente di giovani laureati e lavoratori qualificati.
Ma non è a questa migrazione che pensiamo qui.
L’occasione la offre una data, quella del 22 settembre, quando i cittadini tedeschi saranno chiamati al voto. Una scadenza diventata un’ossessione per molti europei, che dall’esito di quel voto aspettano di conoscere anche il futuro destino dell’Europa e, in particolare, dei suoi Paesi periferici.
Verrà allora il tempo di rimettersi in movimento e, per pastori e greggi, di migrare.
Da dove e verso dove migrare?
Da un’Europa paralizzata dal ruolo economico e politico preponderante della Germania nel dettare le politiche di austerità, con la speranza di ritrovare finalmente una maggiore condivisione tra i Paesi membri, anche per evitare una spaccatura che si va profilando nell’UE tra i Paesi del nord e quelli del sud.
Resta da capire chi, tra “pastori” e “greggi”, migrerà verso “più Europa”.
Tra i “pastori” qualche significativo passo verso “più Europa” potrà muoverlo Angela Merkel se, come sembra, conquisterà un terzo mandato alla Cancelleria, grazie anche ad un’economia che, nonostante qualche difficoltà, resta in territorio positivo e registra un basso tasso di disoccupazione. Potrebbe seguirla il resto del quartetto dell’austerità, Austria, Finlandia e Olanda. Non potranno che andare in questa direzione, con i necessari “distinguo”, Francia, Italia, Spagna e gli altri Paesi in difficoltà, sostenuti con prudenza dalle Istituzioni europee, Banca centrale europea in particolare, e dal Fondo monetario internazionale. Lo richiede una congiuntura internazionale segnata da pericolose turbolenze nell’area mediterranea, senza che l’UE riesca a esprimere una sua posizione unitaria.
Ma bisognerebbe anche capire verso dove migreranno i “greggi”, pardon, i popoli europei.
Lo capiremo meglio quando saremo chiamati a votare per il Parlamento europeo a maggio 2014. Ma già ci sono chiare avvisaglie che raccontano di pezzi importanti di popoli europei che hanno perso fiducia nel progetto europeo, altri che addirittura non lo conoscono, altri ancora tentati da un ritorno allo spazio-nazione giudicato maggiormente protettivo nelle tempeste della mondializzazione, specie in questi tempi di crisi.
C’è già chi pronostica per le prossime elezioni europee una crescita dell’astensionismo, rispetto a quello già molto alto – circa il 50% – delle elezioni del 2009, quando la crisi si affacciava appena.
Peggio ancora, tra chi voterà potrebbe crescere la scelta euro-scettica o addirittura antieuropea, come annunciato da elezioni nazionali recenti nell’UE.
Per i “pastori” che davvero vogliono “più Europa” è più che tempo di prendere decisioni forti e convincenti, prima che i loro “greggi” si disperdano e diventino preda dei molti lupi che si aggirano sul continente.

1 COMMENTO

  1. PASTORI,GREGGI E LUPI, configurati – a mio avviso – rispettivamente tra i “Pastori” :

    i 28 Paesi dell’Unione Europea;

    tra le “GREGGI”: i milioni di cittadini scarsamente coinvolti,ad oggi, nella politica socio-economica a dimensione europea;

    tra i “LUPI”: finanza e promotori di austerità nella costruzione di una “mercato sregolato” – globale – del
    cosiddetto “mordi e fuggi”.

    Conclusione: se entro il 2014, partendo subito, i 28 Paesi non avvieranno estesi approfondimenti-confronti su queste tematiche configurate – con i valori democratici e proposte cogenti – suscitando coinvolgimento e partecipazione negli interessi – con il lavoro e crescita dell’economia che è democrazia – sarà conseguente l’aumento dell’astensionismo alle elezioni 2014.

    E’ fondamentale, estendere entro il 2014 e rendere praticabile l’esercizio del diritto di democrazia politica che è “partecipazione visibile” dei cittadini, congiunta alla “democrazia economica” che non è prerogativa unica di un capitalismo più finanziario che economico e dai profitti non reinvestiti nell’impresa e, quindi, di un capitalismo della finanza speculativa sempre più selvaggia e antagonista del “bene comune”.
    Donato Galeone

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