Generosa ma lenta la solidarietà europea

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A un anno di distanza la solidarietà europea atterra dalle nostre parti.

Era il 20 luglio scorso quando un Consiglio europeo, durato quattro giorni e quattro notti, decideva una misura straordinaria di intervento economico per far fronte alla crisi straordinaria del Covid 19.

Non fu una decisione facile con un’Unione Europea “a pezzi”: a sud Paesi in grave difficoltà finanziarie, tra questi l’Italia, al centro-nord Paesi, come quelli cosiddetti “frugali (Olanda in testa) che resistevano ad allargare i cordoni della borsa, a est una gran fame di risorse ma molto meno di rispetto dello Stato di diritto, come nel caso di Polonia ed Ungheria. Ci volle l’intervento di Angela Merkel per mettere tutti d’accordo, compresi i suoi concittadini diffidenti alla creazione di un debito europeo, i “famigerati” euro-bond attesi da anni. E che adesso in molti dicono che bisognava farli dieci anni prima, uno dei tanti segnali di come proceda l’Europa tartaruga.

Dieci anni e quattro giorni quindi prima di decidere, ma ancora un anno per darne esecuzione nel rispetto delle regole complesse delle Istituzioni UE. Per arrivarci era necessario l’accordo del Parlamento europeo prima, del Consiglio europeo poi: passaggi conclusisi a fine 2020, mentre la pandemia mieteva migliaia di vittime in tutta l’Europa e ancora si brancolava nel buio con le campagne di vaccinazione.

Ma bisognerà aspettare ancora mesi per poter attivare il Recovery Fund deciso a luglio: per riuscirci erano necessarie le ratifiche parlamentari dei Ventisette (alcuni dei quali rallentati da ratifiche dei Parlamenti regionali), condizione insuperabile trattandosi di una materia di natura fiscale, fuori dalle competenze comunitarie e vincolata al voto all’unanimità. In questa fase sono tornati a mettersi di traverso tanto i “frugali” del nord che i sovranisti ad est, insofferenti per le regole di democrazia da rispettare per l’accesso ai fondi europei.

Superati questi ostacoli era essenziale, per l’iniezione di risorse europee nelle stremate finanze pubbliche nazionali,reperire sui mercati finanziari internazionali una prima quota di prestiti: l’operazione si è conclusa brillantemente nei giorni scorsi, con il reperimento di 20 miliardi di euro a fronte di un’offerta di 142 miliardi, a testimonianza dell’affidabilità e credibilità della Commissione europea cui era affidata l’operazione.

Così adesso ci dovremo essere: martedì 22 giugno la presidente della Commissione europea ha comunicato a Roma la sua valutazione positiva del “Piano nazionale per la ripresa e la resilienza” (PNRR), in attesa che il Consiglio europeo di fine settimana lo approvi definitivamente, consentendo il versamento all’Italia di un primo anticipo di circa 25 miliardi di euro, rispetto ai 191 miliardi previsti per l’intero Piano, in esecuzione tra il 2021 e il 2026.

Questo lungo percorso a ostacoli merita qualche riflessione, senza tuttavia far venir meno il giudizio positivo sull’operazione UE e sulla svolta di solidarietà che ha impresso con forza, e non senza sorpresa, alle politiche comunitarie di coesione. La variabile tempo non è evidentemente ininfluente quando si è travolti da una crisi come la pandemia, come non lo è la variabile democratica in un’Unione “laboratorio di democrazie tra le nazioni”: entrambe vanno coniugate e rispettate, con i ritardi che possono derivarne. Non potendo, salvo deliri di onnipotenza, impedire più di tanto l’irruzione della pandemia, varrebbe la pena di chiedersi se la lezione non dovrebbe servirci a rivedere, semplificare e velocizzare il percorso decisionale nell’Unione, per salvare non solo l’efficacia delle sue decisioni ma anche la sua credibilità agli occhi dei cittadini.

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