Fuochi incrociati in Siria

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Ritorna all’attenzione della comunità internazionale l’infinita e tragica guerra che si consuma da sette anni a questa parte in Siria.

In questi giorni, l’attualità si concentra, in particolare, a nord e a sud del Paese dove sono in corso due guerre parallele in un contesto di conflitto generale e in cui gli attori sono molteplici e con diversi obiettivi ed interessi politici.

Ad est di Damasco, nella regione della Ghouta orientale, dove vivono circa 400.000 persone, si sta infatti consumando, da alcuni giorni a questa parte, uno degli attacchi più terribili da parte delle forze governative di Bachar al Assad, intenzionate a liberare definitivamente quella zona ancora controllata dai ribelli e dalle forze anti-regime. Un attacco che fa seguito a sei lunghi anni di assedio da parte delle forze governative e che hanno già messo a dura prova la dolorosa sopravvivenza della popolazione.

Le immagini che ci giungono ricordano purtroppo la recente tragedia di Aleppo: una vera carneficina che non risparmia i civili, uomini donne e bambini, bombardati senza sosta dai barili bomba sganciati dagli aerei del regime, che mirano a colpire, in primo luogo, gli ospedali e le infrastrutture civili. Sono immagini insostenibili che preannunciano una nuova catastrofe umanitaria e di fronte alla quale, purtroppo, si ripete lo scenario dell’impotenza della comunità internazionale.

Sostenuto dalla Russia e dall’Iran, Bachar al Assad conferma la sua intenzione di riconquistare con la forza l’insieme del Paese e di riaffermare la durezza e la solidità della sua dittatura, a costo di annientare il suo popolo e di diventare un criminale di guerra, finora impunito e più che mai al timone di quel resta del suo Paese e del suo popolo.

A nord della Siria, si incrocia invece il fuoco turco con quello dei combattenti curdi, un nuovo fronte aperto a metà gennaio dall’esercito di Ankara nell’enclave di Afrin, controllata dai curdi del PYD (Unione democratica curda) e dall’YPG (Unità di protezione del popolo), accusati di legami con il PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) basato nel sud della Turchia.

Questa nuova operazione di guerra, stranamente denominata “Ramoscello d’ulivo”, risponde alle inquietudini turche di una possibile formazione ai suoi immediati confini meridionali di una continuità territoriale curda e quindi di una inaccettabile minaccia alla sicurezza del Paese.

Ma in questi ultimi giorni, l’intensità dei combattimenti fra turchi e curdi è andata di pari passo con una maggiore visibilità e partecipazione dell’insieme degli attori coinvolti nel conflitto siriano, mettendo in evidenza le contrapposizioni degli interessi locali, regionali e internazionali degli uni e degli altri.

Per i curdi, alleati nella lotta al terrorismo dello Stato islamico con la coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, si tratta di resistere, ad ogni costo, all’offensiva turca e ai suoi obiettivi di impedire qualsiasi tentativo di creare, alla frontiera tra Siria e Turchia, ipotetiche entità autonome curde. A sostenere i curdi, privati di qualsiasi appoggio internazionale, si stanno muovendo le forze del regime di Assad, preoccupato quest’ultimo di una presenza turca troppo ingombrante sul suo territorio. La Russia, a fianco di Bachar al Assad, ma nello stesso tempo attenta a mantenere buoni rapporti con la Turchia, sta raggiungendo un duplice obiettivo : da una parte dimostrare ai curdi l’inaffidabilità della loro alleanza con gli Stati Uniti e dall’altra seminare discordia e spaccatura fra Ankara e Washington, alleati in seno alla NATO.

Una situazione politica e militare carica di incognite e di imprevedibili sviluppi che non fanno sperare in un a soluzione diplomatica delle guerre che si moltiplicano in Siria. E per ora, all’ONU e all’Unione Europea mancano persino le parole per esprimere condanne e preoccupazioni.

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