Fratelli tutti #4 – Populismo e popolarismo

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Apice è lieta di presentare il quarto ed ultimo approfondimento del ciclo dedicato all’enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, pubblicata il 4 ottobre scorso. Quattro commentatori analizzeranno alcune delle principali tematiche “civili” affrontate dal Pontefice nell’enciclica. Le analisi sono state pubblicate sul periodico cuneese “La Guida”, e successivamente riprese dal nostro sito.

Nel quarto approfondimento, che riportiamo integralmente di seguito, Paolo Borgna approfondisce i temi del populismo e del popolarismo.


Populisti o popolari? Nel quinto capitolo, l’Enciclica francescana Fratelli tutti, svolgendo riflessioni di largo respiro sulla “migliore politica”, necessaria per lo sviluppo di una comunità mondiale fondata sulla fraternità dei popoli, ci parla della crisi delle culture politiche del nostro tempo. Lo fa, ovviamente, prescindendo del tutto da precisi riferimenti alle contingenze nazionali. Ma aiutandoci a pensare e meglio capire il nostro presente e futuro. 

Un equivoco enorme alimenta lo spirito del tempo che soffia su tutto il mondo. I termini populista e popolare rappresentano concezioni diverse e spesso opposte del rapporto dei governanti con le loro comunità. Ma hanno la stessa radice: popolo. Parola bellissima e terribile. E’ in nome del popolo che negli ultimi due secoli sono state scritte nelle nostre Carte dei diritti le parole più scintillanti. Ma è in nome del popolo che, nel Novecento europeo, sono stati commessi i crimini più orrendi: in nome del popolo, contro la persona. L’espressione “populista” è oggi inflazionata: “ha invaso i mezzi di comunicazione e il linguaggio”, dice l’Enciclica. Vi si ricorre per esprimere diverse “polarità della società divisa”, per criticare ingiustamente o, al contrario, per esaltare in maniera esagerata ogni opinione su qualunque tema. In questo modo, però, il riferimento al “populismo” rischia di annebbiare “la legittimità della nozione di popolo”; di screditarne il concetto. Eppure, proprio il termine popolo è essenziale per affermare a voce alta che la società non è soltanto la “mera somma degli individui” e di tanti interessi di singoli che coesistono senza incontrarsi, perseguendo soltanto il “guadagno facile come scopo fondamentale” della propria esistenza. L’azione politica collettiva, per essere feconda, deve avere, alla base, “aspirazioni comunitarie”, un “progetto condiviso”, una “identità comune fatta di legami sociali e culturali”, un orizzonte cui tendere che sia anche “sogno collettivo”. Ebbene: “tutto ciò trova espressione nel sostantivo popolo e nell’aggettivo popolare” (par. 156, 157, 158, 163, 168).

Questa idea di popolarismo, e ciò che esso ha concretamente rappresentato nella storia europea del ‘900, è deformata dai movimenti populisti. Il populismo è il volto sfigurato del concetto di popolo. Perché i leader populisti, “fomentando le inclinazioni più basse ed egoistiche di alcuni settori della popolazione”, le cavalcano per “attrarre consenso”, così strumentalizzando politicamente le inquietudini del popolo, non per risolverle con soluzioni realistiche bensì per sfruttarle “al servizio del proprio progetto personale e della propria permanenza al potere”. E’ questo il tradimento definitivo della politica nell’interesse del popolo. Perché “un popolo vivo, dinamico e con un futuro è quello che rimane costantemente aperto a nuove sintesi assumendo in sé ciò che è diverso”. Non “negando sé stesso” ma pronto ad essere messo in movimento e in discussione, ad essere allargato, arricchito da altri” (par. 160).

Evolversi, arricchirsi insieme agli altri. I veri leader politici sono coloro che non accarezzano le paure del proprio popolo per incassare dividendi elettorali. Ma coloro che sanno capire queste paure, dando ad esse nuove soluzioni: stando dentro la propria comunità ma sapendola guidare verso “nuove sintesi”, trainandola in avanti. 

Pensiamo alla nostra storia di cittadini europei. Quando, sul finire degli anni ’40, leader come Adenauer, Schumann, De Gasperi, Monnet, Spaak e Spinelli cominciarono a coltivare il progetto di una Europa unita, avevano, dietro di loro, popoli che avevano conosciuto la guerra, i bombardamenti, il massacro reciproco di milioni di persone. Avrebbero potuto coltivare quelle paure e risentimenti, arroccando i propri popoli nei loro nazionalismi. E invece, colsero il terrore che la guerra aveva seminato e lo trasformarono in ripudio della guerra, in ricerca di un nuovo incontro tra popoli. Furono leader popolari. Non populisti. Ci regalarono l’Europa. Non dissipiamo quel regalo. 

Per approfondire: il testo completo dell’enciclica “Fratelli tutti”

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