Molti e importanti nella scorsa settimana gli appuntamenti per l’Europa alla vigilia del Consiglio europeo di fine mese, da cui ci si aspetta finalmente decisioni in grado di fare risalire l’Unione Europea dalla pericolosa china nella quale è andata progressivamente scivolando da quando, nel 2008, è esplosa la crisi finanziaria e economica.
Alcune prime ma provvisorie buone notizie sono venute dalle elezioni in Francia e in Grecia.
In Francia Hollande può adesso contare su una maggioranza assoluta nei due rami del Parlamento e può premere sull’acceleratore della crescita e cercare di coinvolgere in questa dinamica il resto dell’Europa. Dalla sua ha l’Italia, la Spagna e altri Paesi di minor peso, contro l’ostinazione rigorista della Germania che si dice pronta a percorrere questa strada solo a bilanci risanati e nella prospettiva di un rafforzamento del processo di integrazione a partire dall’unione bancaria a quella fiscale fino all’unione politica. Una traiettoria che vede d’accordo la maggior parte dei 17 Paesi dell’eurozona, ma molto reticente la Francia sulla prospettiva di un’unione politica.
In Grecia la pressione della troika – UE, Banca Centrale Europea (BCE) e Fondo Monetario Internazionale (FMI) – e della Germania ha fortemente condizionato l’esito della consultazione elettorale, dividendo il Paese tra il voto della paura che ha premiato la destra e il voto di protesta che ha fatto schizzare in alto il consenso alla sinistra radicale e portato in Parlamento il partito neonazista. Sono dinamiche che pongono pesanti interrogativi sull’esercizio della democrazia nei Paesi dell’UE.
Grazie al sistema elettorale greco e al suo generoso premio di maggioranza, la destra di “Nuova democrazia” è in grado, insieme al ridimensionato partito socialista, di formare un fragile governo chiamato a rinegoziare almeno i tempi di rientro dal debito e ottenere un sostegno all’economia greca in forte recessione.
Non sarà facile se la Germania, come sembra, resta sostanzialmente sulle proprie posizioni e se i mercati mantengono la pressione sugli altri Paesi periferici dell’UE, in particolare sulla Spagna e sull’Italia, come è avvenuto negli scorsi giorni. In realtà è tutta l’UE sotto pressione e non solo da parte dei mercati e della speculazione, ma anche da parte delle principali economie mondiali riunite al G20 del Messico a inizio settimana, preoccupate per i mancati stimoli alla crescita in Europa. Con qualche buona ragione ma anche con inopportune arroganze.
Le buone ragioni sono essenzialmente quelle dei Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Africa del Sud) che, dopo avere contribuito a rafforzare l’argine del FMI al contagio del virus bancario, chiedono di poter contare quanto meritano in seno al Fondo Monetario Internazionale e ricordano ai Paesi ricchi da “salvare” quanta povertà debbano ancora affrontare a casa loro.
Le arroganze sono state in particolare quelle degli Usa e del loro Presidente che, dimenticando da dove è partito il virus del disastro finanziario, processa l’Europa dandole lezioni che proprio da quel pulpito cascano male. Al punto da farci provare un inatteso moto di solidarietà verso la Merkel che avrà pure le sue responsabilità, ma non può farsi dire da oltre Atlantico quello che deve fare a casa propria, visto che non sente nemmeno i suoi partner europei.
Anche in questo caso – e a livello mondiale – si pone un reale problema di rispetto della democrazia e della volontà dei popoli. Perché se non va bene dettare le condizioni al popolo greco, ancora meno è sopportabile che lo si faccia nei confronti dei popoli europei dell’UE: la reazione orgogliosa del mite Barroso in proposito, oltre che una novità, è per una volta condivisibile.
A patto naturalmente che, nel Consiglio europeo fine mese, l’UE dia prova di altrettanto orgoglio nell’assumere decisioni che sta rinviando da anni.