Proprio mentre si invoca una futura Unione Europea capace di contare sulla scena mondiale in questi tempi turbolenti, nei quali la conquista della pace e la salvaguardia del pianeta sono le priorità cui guardare, ci è toccato assistere ad una campagna elettorale di corto respiro, giocata su contenziosi nazionali, nemmeno su quelli più importanti come quelli del risanamento finanziario, dello sviluppo economico e delle crescenti disuguaglianze sociali.
Hanno occupato il terreno maldestre proposte di riforme, da quella del premierato a quella dell’autonomia differenziata, tralasciando i problemi acuti della sicurezza europea, quelli della competizione internazionale e della caduta demografica di questo nostro Vecchio, vecchissimo continente.
Progetti, se ce n’erano, sono rimasti sulla carta e non hanno alimentato il dibattito, sulle proposte hanno prevalso slogan di basso e modesto profilo, troppo generici per aiutare il cittadino-elettore a comprendere a fondo la posta in gioco con queste elezioni, distratti dalle consultazioni elettorali locali che, per quanto importanti, poco finiranno per contare fuori dal contesto europeo ed internazionale.
Ha largamente aiutato questa “distrazione di massa” un sistema elettorale, quello proporzionale, che ha favorito la competizione a livello locale, per misurare il consenso più all’interno delle coalizioni, presenti o future che siano, che non tra queste, esasperando i duelli tra i cosiddetti leader, per una volta più femminili che maschili, alla ricerca di un primato elettorale nel proprio campo, largo o meno largo che fosse.
In tale contesto ha sicuramente peggiorato la situazione la decisione di alcuni leader di presentarsi al voto dichiarando anticipatamente, salvo uno, che se eletti non sarebbero andati al Parlamento europeo: c’è chi lo ha fatto senza vergogna in tutti e cinque i collegi elettorali, chi limitandosi ad alcuni soltanto, tutti però ferendo la democrazia e depotenziando il ruolo del Parlamento, umiliato davanti ai cittadini-elettori che si sono chiesti dove stava allora il potere di guidare l’Unione, se nelle Istituzioni europee o a Roma.
È forse qui il maggiore deficit politico di questa campagna elettorale che ha indotto in errore e reso un cattivo servizio agli elettori e all’Unione, occultando quali siano oggi i livelli decisionali che governano la nostra vita quotidiana, la cui prevalente fonte si colloca nel concerto, per quanto contrastato possa essere, tra le Istituzioni UE, con un ruolo importante esercitato dal Parlamento europeo, diventato nel tempo un vero e proprio co-legislatore, unica Istituzione UE dotata di una legittimità democratica universale e diretta e quindi chiamato più delle altre a promuovere e rilanciare il processo di integrazione comunitaria di cui abbiamo urgente bisogno.
Adesso è inutile piangere sul latte versato, resta ancora il tempo di considerare con lucidità quanto avvenuto e recuperare, per quanto possibile, le informazioni utili per un voto consapevole, di dimensione europea, destinando al Parlamento europeo persone serie che rispettano il mandato elettorale e parlamentari competenti, giovani o meno giovani che siano, perché sarebbe buona cosa mandare a Strasburgo una squadra fatta di persone ricche di esperienza politica e giovani portatori di innovazione.
Ne va del futuro dell’Unione Europea e nostro.