Elezioni europee: chi ha vinto e chi ha perso

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Per una volta i risultati di un’elezione sono chiari e al gioco di “chi ha vinto, chi ha perso” è difficile barare.

Cominciamo dalla concorrente principale, la democrazia. Ha vinto, ai punti, ma ha vinto. Non solo il voto si è svolto regolarmente, cosa che non capita ovunque nel mondo e nemmeno in Europa, come si può vedere in Ucraina. L’annunciato aumento dell’astensione non c’è stato, anche se quel 57% di elettori che non hanno votato non è buon sintomo per la democrazia rappresentativa e a questo bisognerà porre rimedio al più presto, in particolare a Est dove ci sono state percentuali di voto attorno al 20%. Percentuali che traducono la fragilità di giovani democrazie e la sfiducia non solo nei confronti delle Istituzioni UE, ma di tutta la politica.

Con la democrazia ha vinto il Parlamento europeo, un’Assemblea il cui ruolo è cresciuto negli anni e in particolare con il Trattato di Lisbona: un potenziale ancora lontano dall’essere sfruttato appieno. L’indicazione, attraverso al voto, del Capo dell’Esecutivo UE, la Commissione, rafforza la legittimità popolare delle Istituzioni comunitarie: staremo a vedere quanto conterà nella designazione dei nuovi vertici, affidata al Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo, ma già sono evidenti le tensioni tra quanti vogliono bloccare il cammino verso un’Unione politica federale.

Tra le forze politiche hanno vinto quanti sostengono il progetto europeo: il Partito popolare europeo (PPE), che resta il primo partito, anche se indebolito dalla perdita di consenso tedesco e italiano, tallonato da vicino dal Partito socialista europeo (PSE), penalizzato dal risultato francese ma rafforzato da quello italiano e da quello tedesco; avanzano i “sostenitori critici”, come Tsipras e i “Podemos” spagnoli e resistono, tra i sostenitori dell’Europa, i Verdi europei e i liberal-democratici, purtroppo entrambi frenati dalla scomparsa dei loro partner italiani.

Tra i Paesi fondatori della Comunità europea, tutti tengono o rafforzano le rispettive posizioni – e adesso non hanno alibi per rilanciare il processo di integrazione – ad eccezione della Francia, vittima della crisi e della propria ossessione “sovranista”, che ha castigato socialisti e centristi e premiato i nazionalisti xenofobi del Fronte nazionale di Marine Le Pen.

Di qui in là comincia la lista di quelli che hanno perso. Ci sono quelli che, pur avendo vinto in casa, sono destinati a perdere in trasferta, una volta approdati al Parlamento europeo dove difficilmente riusciranno ad aggregarsi. È il caso della truppa degli euroscettici e dei diversamente antieuropei, che pure hanno triplicato i loro seggi: l’UKIP inglese, che ha messo alle corde conservatori e laburisti, ma che rischia l’isolamento a Strasburgo, come accadrà per i danesi del Partito popolare, per i tedeschi anti – euro di Afd, per il Movimento Cinque stelle e anche per la Lega, aggrappata al Fronte nazionale francese di cui alla fine non potrà condividere molto, pena spostarsi anch’essa verso l’estrema destra.

Ad eccezione degli inglesi, hanno perso in Europa anche i partiti di estrema destra, nonostante la loro avanzata in Paesi come l’Austria, l’Ungheria e la Grecia: tutti insieme questi ultimi non pesano molto in Parlamento, ma mandano segnali inquietanti su un “virus” che torna ad attaccare l’Europa (al Parlamento entra il primo neo – nazista tedesco), complice la crisi e le pulsioni nazionaliste in crescita in molti Paesi.

Alla fine ha vinto l’Europa, a condizione che faccia tesoro del messaggio che i cittadini – quelli che hanno votato e quelli che si sono astenuti – le hanno mandato. Nella varietà democratica delle opzioni è chiara una sostanziale convergenza maggioritaria: questa Europa deve cambiare, profondamente e senza più tergiversare.

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