àˆ guerra nel Caucaso

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Era nell’aria da molto tempo. I rapporti tra Tbilisi e Mosca, da sempre tesi, hanno avuto una svolta tragica in questi ultimi giorni e sono sfociati in una vera e propria guerra, nel momento in cui il mondo ha gli occhi puntati sui Giochi olimpici di Pechino.
Il detonatore del conflitto a fuoco è stata l’incursione militare georgiana in Ossezia del Sud, regione separatista della Georgia che aspira a una riunificazione con l’Ossezia del Nord, repubblica autonoma della Federazione russa. A prima vista, un problema irrisolto, fra altri, di sovranità   e indipendenze, di frontiere e di etnie che la caduta dell’impero sovietico ha riportato alla luce in tutta la sua complessità  , soprattutto in Caucaso. Cecenia, Ossezia del Sud, Abkazia, Nagorno Karabach, Daghestan, sono regioni che non hanno ancora trovato una soluzione durevole ad antichi e nuovi conflitti.
Ma se fino al 1991 i rapporti tra Mosca e il Caucaso erano racchiusi in un contesto di politica interna sovietica e, a livello internazionale, di guerra fredda, oggi chiaramente non è più così. Le ragioni di questa guerra, che si dimostra col passar delle ore sempre più violenta e umanamente disastrosa, vanno quindi cercate in un contesto molto più vasto in cui questioni politiche, economiche, di sicurezza e di alleanze strategiche si intrecciano inevitabilmente fra loro e, in ultima analisi, determinano i nuovi rapporti tra Russia e Occidente.
Con la «rivoluzione delle rose» nel 2003 e l’avvento del giovane Saakashvili al potere, la Georgia aveva chiaramente fatto la scelta di uscire definitivamente dall’influenza russa e di avvicinarsi sempre più al mondo occidentale, all’Europa e agli Stati Uniti. Ma la Georgia purtroppo, in questo suo cammino verso l’Occidente, portava con sè tutti gli ingredienti problematici di un Paese di frontiera fra una Russia alla decisa ricerca di un nuovo potere e un Occidente che cominciava a capire l’importanza della sua posizione geostrategica. Paese senza risorse energetiche, la Georgia è diventata infatti in pochissimo tempo il crocevia di oleodotti e gasdotti provenienti dal Caspio e dall’Asia centrale, diretti in Europa e non controllati dalla Russia. Aspetto, quest’ultimo inaccettabile da parte di una Russia che ha puntato, in gran parte, sulle sue risorse energetiche per definire la sua «muscolosa» politica estera.
Ma, cosciente dei rischi di questo cammino verso l’Occidente, la Georgia aveva chiesto anche l’adesione alla NATO, adesione finora negata e rinviata proprio per questioni di sensibilità   e opportunità   nei confronti del vicino russo, con il quale, lo si voglia o meno, l’Europa deve convivere, non foss’altro per quello che rappresenta in termini di approvvigionamento energetico. Una Russia quindi estremamente irritata dalla prospettiva di vedere alle sue immediate frontiere un Paese membro della NATO, una prospettiva che aveva tutta l’aria di concretizzarsi con il prossimo Vertice previsto a fine anno. Non solo, ma anche la prospettiva di un Paese NATO in cui la stessa Russia non ha mai voluto smantellare le sue basi militari.
E infine i problemi irrisolti all’interno della Georgia. Le due Repubbliche autonome e separatiste dell’Abkazia e dell’Ossezia del Sud hanno rappresentato finora la spina più evidente nei rapporti con la Russia. Sebbene dal 1993 i conflitti con le due Repubbliche siano sempre stati latenti e provvisoriamente sospesi, Saakashvili aveva nel suo programma di risolverli definitivamente e, sulla base del riconoscimento internazionale, di affermare l’integrità   territoriale del suo Paese. Ma la Russia aveva nel frattempo predisposto una politica di non ritorno delle due regioni nel territorio georgiano: dopo aver sostenuto abkazi e osseti nelle loro guerre del 1991 e 1992 contro la Georgia, è iniziata, senza mezzi termini, una politica di russificazione dei due popoli: passaporti russi, pensioni, sostegni sociali ecc.
Ed è su questo terreno, che è scoppiata la guerra, una guerra incomprensibile nei suoi aspetti così violenti, ma anche per le sue apparenti contraddizioni. In primo luogo perchè, per assurdo, anche ai russi era affidata la missione di mantenimento della pace nei due territori e, secondo, perchà©, senza rispetto del principio dell’integrità  ’ territoriale della Georgia, la Russia ha agito come se le due regioni facessero già   parte della Federazione, considerando il malaugurato intervento georgiano in Ossezia del Sud, come un attacco alla Russia stessa.
Seguiamo l’evoluzione di questa guerra con apprensione e sappiamo che ci sono movimenti di truppe anche in Abkazia. Non ci stupisce e cominciamo a capire il disegno di Putin. Non è certamente quello di dare aiuto alle popolazioni dell’Ossezia del Sud. Abbiamo ancora fresche nella memoria le scene di Grozny in Cecenia. àˆ in gioco il controllo del Caucaso e della Georgia in particolare e soprattutto è in gioco un forzato cambiamento di regime a Tbilisi che non abbia più lo sguardo rivolto a Ovest. Un ritorno improvviso e carico di conseguenze a una nuova «guerra fredda», la cui sensibilissima gestione è, ora, anche nelle mani dell’Europa.

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