Draghi: la strada in salita della ricostruzione

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Si può essere – e anche con qualche fondamento – super-Mario fin che si vuole e disporre in Parlamento di una maggioranza “bulgara”, ma ci vuole molto di più per ricostruire l’Italia. Perché per riuscirci bisogna ricostruire gli italiani, ancora prima della politica finita sotto le macerie. Inutile nascondersi che si tratta di una strada lunga, tutta in salita e per la quale ci vorrà tempo e fatica.

Il tempo a disposizione rischia di non essere molto: se va bene due anni, fino al termine della legislatura, sempre che qualcuno non si inventi una crisi, magari qualcuno con lo stesso nome e un cognome diverso. E sempre che la traiettoria descritta, pur con prudenza, dal Presidente del Consiglio non venga ostacolata da possibili nuove ondate di pandemia e dalla caduta di consenso da parte degli italiani, in particolare di quelli che questa pandemia l’hanno pagata più cara. 

Un prima verifica è attesa con la risposta al nodo dei licenziamenti in Italia e con il passaggio nelle forche caudine del Recovery Fund, due scadenze tra loro intrecciate per le prospettive dell’economia italiana e per il futuro dell’occupazione.

Nel suo discorso d’insediamento i due temi sono stati evocati, anche se in proporzioni diverse: più sviluppato quello dei Fondi europei, meno quello del futuro delle imprese in difficoltà e delle relative conseguenze per i lavoratori in caso di chiusura.

Non stupisce da parte di Draghi un simile approccio, così come non ha stupito nessuno – neppure i più accaniti euro-scettici, oggi convertiti – l’ancoraggio dell’Italia all’Unione Europea e della sua economia futura all’irriversibilità dell’euro. In questo quadro bisognerà porre attenzione ai vincoli posti al governo, stretto tra l’emergenza sanitaria e sociale e il controllo della spesa pubblica, da un debito pubblico non solo da contenere ma anche da ridurre, come hanno lasciato capire le parole di Draghi sulla prudenza ad accedere ai prestiti europei, per non penalizzare le generazioni future cui toccherà il peso del rimborso.

E anche la giusta centralità della transizione ecologica avrà dei prezzi che non potranno essere saldati con le sole risorse finanziarie europee: i cambiamenti previsti modificheranno radicalmente il mercato del lavoro e i lavoratori di molti settori – e non solo delle aziende in crisi – avranno difficoltà a ricollocarsi, mentre fin da subito la formazione dei più giovani dovrà essere rafforzata, come è apparso chiaramente dall’insistenza sul capitale umano, declinato in modo significativo con l’insistenza sulla centralità della scuola e con un riorientamento verso gli istituti tecnici.

Molto ci sarà anche da fare per Draghi nell’Unione Europea, dove ritorna con l’autorevolezza di ex-presidente della Banca centrale europea, ma dentro l’alone non proprio luminoso della classe politica che per il momento lo sostiene. Perché Draghi possa essere credibile, bisogna che lo siano anche gli italiani, che tanto europei ancora non sono, in un Paese che stenta a rispettare le regole e  dove evasione fiscale, corruzione e illegalità pesano sull’efficienza e la credibilità dello Stato, chiamato in Europa a coniugare insieme solidarietà e responsabilità. 

Nel suo intervento alle Camere il presidente Draghi non ha ripreso le parole di Churchill su “lacrime e sangue”, ma qualcosa del genere bisogna aspettarselo sulla strada in salita della ricostruzione e della transizione ecologica, quella che richiede una profonda conversione, quella sollecitata con insistenza da papa Francesco: “Le catastrofi naturali sono le risposte della Terra ai nostri maltrattamenti”. 

Al punto in cui siamo arrivati ci vorrà tempo e fatica per convertirsi e imparare a trattare bene il Pianeta e, con esso, l’Europa e l’Italia.  

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