Diario di guerra 11: la polveriera dei Balcani

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Ritornano regolarmente sotto i riflettori dell’attualità le turbolenze e le instabilità che attraversano i Paesi dei Balcani. Gli ultimi fuochi di tensione si sono accesi infatti in Kosovo, nella notte fra il 31 luglio e il 1 agosto, data fissata da Pristina per l’entrata in vigore delle nuove norme che vietano l’utilizzo di carte d’identità e di targhe automobilistiche serbe da parte della minoranza serba presente nel Nord del Paese, al confine con la Serbia. Tema, a prima vista banale, ma che ha scatenato una forte vampata di tensione da parte dei destinatari, a dimostrazione della presenza di una sensibilità politica ancora molto irrequieta fra i due Paesi, di una lunga storia di conflitti e di una difficile convivenza. 

La decisione di Pristina, concordata in particolare con l’Unione Europea e gli Stati Uniti, è stata rimandata al primo settembre, con poche garanzie che nel frattempo vengano trovate soluzioni condivise e durature.

Il rapporto fra Kosovo e Serbia è in effetti sotto tensione da molto tempo a questa parte, visto che la Serbia non ha mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo dichiarata nel 2008, anche se, oggi, questo rapporto è ulteriormente esacerbato dalle tensioni presenti sulla scena internazionale e dalla guerra in Ucraina.

Non va dimenticato infatti che, sebbene il Kosovo sia considerato in futuro un potenziale candidato all’adesione dell’Unione Europea, è riconosciuto solo da 22 Stati membri dell’UE e, a livello internazionale, non è stato riconosciuto nemmeno da Russia e Cina. Non sono mancate infatti le reazioni di Mosca al riguardo, storica alleata della Serbia, che ha messo in guardia l’Occidente da una possibile escalation del conflitto. Da non dimenticare nemmeno che dal 1999 è dispiegata in  Kosovo la missione NATO “KFOR”, con l’obiettivo di mantenere la pace e  garantire la stabilità.

Ma le tensioni nei Balcani non si limitano al teatro sopra descritto. Non si sono infatti mai rimarginate le ferite nella società della Bosnia Erzegovina, a trent’anni da quella guerra iniziata nel 1992 e che porta come emblema l’assedio di Sarajevo. Ad oggi, le divisioni etniche e religiose  persistono in un contesto di continue minacce alla tenuta di uno Stato federale e delle sue Istituzioni centrali e dai tentativi separatisti della Repubblica Srpska. Una situazione che mette costantemente in pericolo la fragile pace raggiunta con gli Accordi di Dayton del 1995.

Questa situazione di continua e pericolosa instabilità agli immediati confini orientali dell’Unione e le incertezze geopolitiche che la guerra in Ucraina genera col passare del tempo, hanno riportato sul tavolo dell’Unione Europea l’urgenza di una risposta più concreta ai rapporti con i Paesi dei Balcani per quanto riguarda la loro prospettiva di partecipazione e adesione all’UE. Al riguardo, sembrano muoversi in questa direzione alcune recenti iniziative e decisioni, a partire dall’accordo raggiunto a Bruxelles il 12 giugno scorso dai leader della Bosnia Erzegovina con il quale essi si impegnano “a preservare e costruire uno Stato europeo pacifico, stabile, sovrano e indipendente della Bosnia Erzegovina”. Un accordo la cui attuazione consentirà al Paese di progredire sulla strada europea e verso un futuro status di candidato all’UE. 

Certo è che la pace nei Balcani corre oggi più che mai su un fragile filo, di fronte al quale l’Unione Europea è chiamata, con urgenza e chiarezza, a rispondere alle sfide di stabilità, di dialogo e di percorso democratico che questi Paesi rappresentano.

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