Il Consiglio Europeo della settimana scorsa doveva essere l’occasione per decisioni importanti e tempestive; avrebbe anche potuto esserlo, ma così non è stato. Almeno non nella misura attesa e all’altezza della situazione che vivono l’euro e le economie nazionali in difficoltà .
Che cosa stia accadendo alla stabilità finanziaria e monetaria dell’UE è noto: alcuni Paesi della zona euro – la Grecia prima, l’Irlanda adesso e forse presto Portogallo e Spagna – sono in grave difficoltà con i propri conti pubblici, qualcuno con il sistema bancario fragile e tutti con una crisi economica irrisolta e segnali di crisi sociali e politiche all’orizzonte. Normale che di questa situazione risenta pesantemente l’euro, oggi moneta di sedici Paesi membri e presidio per noi tutti della stabilità monetaria, che è anche garanzia di affidabilità sui mercati.
A Bruxelles i capi di Stato e di governo erano chiamati a dare una risposta compatta a sostegno all’euro e un contributo di solidarietà ai Paesi in difficoltà , da una parte per aiutare questi ultimi a uscire dalla crisi e, dall’altra, per arginare la speculazione dei mercati su questi stessi Paesi e, alla fine, sull’intera zona dell’euro.
Qualcosa è stato fatto e non va sottovalutato, ma non si puಠoccultare quanto resta da fare, possibilmente in tempi brevi.
Cominciamo dalle buone notizie, una in particolare che aveva preceduto il Consiglio Europeo, sgomberando il campo da un problema di troppo. A causa di un dissenso chiaramente politico-istituzionale, alcuni Paesi avevano impedito, nel novembre scorso, l’adozione del bilancio UE per il 2011 e quindi un’esecuzione programmata delle modeste ma preziose risorse comunitarie. A questa ulteriore e pericolosa falla alla barca dei Ventisette si è provveduto in extremis e adesso il bilancio è adottato. Non è tutto quello di cui abbiamo bisogno, ma non è nemmeno poco.
Rimaneva da decidere, soprattutto, la creazione di un Fondo di salvataggio per i Paesi a rischio di fallimento finanziario e anche qui una decisione c’è stata ed è stata positiva: l’impegno dei massimi responsabili europei è stato unanime e compatto, meno chiare perಠle modalità e i tempi di esecuzione dell’impegno preso. Intanto perchà© si tratta di una decisione che implica una modifica all’unanimità dei Trattati e abbiamo imparato quanto queste ratifiche siano a rischio fino all’ultimo momento, appese a umori politici e a contenziosi giuridici. Poi perchà©, sempre che le ratifiche vadano bene, l’esecuzione è rimandata al 2014 e restano incerte, a oggi, la dotazione del Fondo e le regole per la sua attivazione. Non è senza importanza che tutte queste incertezze portino la firma della cancelliera tedesca Angela Merkel, preoccupata per le difficili elezioni federali che l’attendono nel 2013, assecondata in questi calcoli da Nicolas Sarkozy, almeno altrettanto preoccupato per le elezioni presidenziali in Francia nel 2012.
E così, tutti in fila ad aspettare. Ne ha fatto le spese anche la buona proposta italo-lussemburghese di creare eurobond, titoli pubblici emessi dall’UE piuttosto che dai singoli Stati e, quindi, con una più solida garanzia agli occhi degli investitori. L’idea non è stata del tutto rifiutata, ma rinviata per ora a tempi migliori, per non diffondere – sono più o meno le parole di Merkel – «il virus dell’instabilità finanziaria a Paesi che oggi ne sono immuni». Tradotto: per non mettere a rischio i conti della Germania e fare pagare le crisi finanziarie di Stati «lassisti» ai tedeschi.
Per fare buon peso e mettersi la coscienza a posto, il duo franco-tedesco ha annunciato per i prossimi mesi proposte per rispondere alla crisi. Staremo a vedere, ma intanto c’è aria di invasione di campo: istituzionalmente la proposta formale di iniziative nell’UE spetta alla Commissione Europea e non a qualche Stato, anche se si chiama Germania o Francia. Responsabilità anche di una Commissione debole e un po’ incolore e quindi, nell’emergenza, pur sapendo a chi tocca fare, va bene chi lo fa.
Anche se diventa sempre più probabile che a fare la futura Unione Europea saranno gli esiti della crisi in corso: una crisi di straordinarie dimensioni e inedita per la nostra società , che disegnerà il futuro profilo delle nostre democrazie. E con esse anche quella, originale ma pericolosamente incompiuta, dell’Unione Europea, un laboratorio complesso di democrazia fra le nazioni, proprio mentre sono fragili le tradizionali democrazie, nate e cresciute nel solo alveo nazionale.
Ovunque per la politica è questa una stagione difficile: è il momento della pazienza ma anche del coraggio, per non disperdere i risultati di lotte consegnateci dalle generazioni che ci hanno preceduto e per trasmetterli alle generazioni che verranno e che dovranno rilanciarli, reinterpretandoli in profondità , alla luce del nuovo mondo in cui viviamo.