In Italia la si aspettava da mesi, un po’ come la primavera quest’anno. E giusto un pallido raggio di sole è arrivato finalmente da Bruxelles, con un titolo un po’ complicato: “uscita dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo”. Una brutta storia iniziata nel 2009, con Berlusconi al governo che raccontava di una crisi “psicologica”, ma che già allora appariva, a chi aveva occhi per vedere, con tutti i segni di un ciclone devastante per l’economia e la società.
Il Trattato di Maastricht, in vista della salvaguardia della nascitura moneta unica, aveva fissato dei “paletti” per i conti pubblici europei: tra questi, un rapporto con il Prodotto interno lordo del 60% tendenziale per il debito pubblico e una soglia massima del 3% per il deficit, risultato dello squilibrio annuale tra le uscite dello Stato superiori alle entrate.
Salvo rari periodi, in particolare con il governo Prodi, il debito pubblico è continuato a salire aggirandosi oggi attorno al 130%, mentre aveva alterne vicende il deficit, con uno squilibrio del 5,9% nel 2009. Da allora l’Italia era finita sotto la lente di Bruxelles, con sanzioni e una sorveglianza speciale che ha contribuito non poco alla rigidità dei conti italiani e ai mancati stimoli alla crescita.
Al governo Monti – e agli italiani che hanno tirato la cinghia – va gran parte del merito di avere ricondotto i conti annuali sotto controllo, permettendo adesso all’Italia di uscire dalla procedura di infrazione avviata nel 2009, di recuperare credibilità sui mercati internazionali e di poter contare su limitati margini di flessibilità nella spesa pubblica.
Ed è proprio qui che il governo italiano è aspettato al varco dai controllori di Bruxelles che hanno socchiuso all’Italia la “prigione” per infrazione, imponendole però un “braccialetto elettronico” per continuarla a tenerla d’occhio, in particolare sulla sua capacità di controllo rigoroso della spesa e di riforme strutturali attese da tempo.
Le raccomandazioni di Bruxelles all’Italia non sono né poche né leggere. Oltre a proseguire nel risanamento dei conti ma con attenzione alla crescita, l’Italia dovrà migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione, migliorare la qualità dei servizi, in particolare quelli sociali, accelerare i tempi della giustizia civile, consolidare il sistema bancario, rivedere ulteriormente le norme sul mercato del lavoro e migliorare la formazione per favorire l’occupazione, soprattutto giovanile, e riconsiderare i meccanismi di imposizione fiscale.
Come appare chiaro, i compiti per l’Italia non sono finiti e viene spontaneo chiedersi come riuscirà il governo delle “larghe intese” a trovare un’intesa equilibrata sulle misure da adottare per non tornare ad allarmare Bruxelles, anche perché sarà per noi importante l’appuntamento del Consiglio europeo di giugno, quando l’Italia cercherà di fare leva sulla crescita per scorporare dal calcolo del disavanzo gli investimenti produttivi e gli interventi in favore dell’occupazione giovanile.
Intanto un po’ di ossigeno potrebbe venire nel 2014 dalla decina di miliardi di euro che si libererebbero con un’ulteriore riduzione del deficit, ma molto di più sarà necessario per rimettere in moto l’Italia.
L’Europa lo sa, ma guardando alla litigiosa e confusa politica italiana è tentata di non fidarsi troppo ed è comprensibile quindi che ci vincoli in una situazione di “libertà condizionata”. Tocca a noi dimostrare che sappiamo assumerci le nostre responsabilità, non solo per contribuire a rafforzare l’Unione Europea, ma prima ancora per portare in salvo l’Italia.