Dalla Libia venti di guerra sull’Europa

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Avanza inesorabilmente nell’area mediterranea il terrore scatenato dallo Stato islamico e dal suo progetto di costituzione di un Califfato sunnita, fino a protrarsi oggi non solo in Libia, ma anche lanciando concrete minacce all’Europa e, in particolare, all’Italia. La situazione, in tutta la sua nuova pericolosità e complessità ha riportato in primo piano il dibattito europeo e internazionale sull’eventualità di un nuovo intervento militare in Libia, a quattro anni esatti da quella guerra, essenzialmente voluta e combattuta da Francia e Regno Unito con un tardivo mandato ONU, che ha dato il via alla situazione di caos, di guerra civile e di ingovernabilità politica che conosce oggi il Paese.

Il quadro di questa situazione infatti la dice lunga sulla sua pericolosità politica: esistono due governi e due Parlamenti, il primo a est, dal profilo «laico», riconosciuto dalla comunità internazionale, controlla la Cirenaica ed ha sede a Tobruk, per ragioni di sicurezza. Il secondo, un governo «ombra» nell’ovest del Paese è guidato da una coalizione di milizie islamiste, chiamata «Alba della Libia» molto vicina se non alleata con lo Stato islamico; Tripoli e la Tripolitania sono sotto il suo controllo. Oltre ad alimentare i conflitti interni e la divisione del Paese, una tale situazione ha favorito la penetrazione anche in Libia dello Stato islamico, rendendo ancora più problematica e pericolosamente instabile tutta la regione. Non solo, ma la Libia rappresenta anche il Paese più vicino all’Europa e all’Italia, da dove, in particolare dall’inizio della guerra in Siria nel 2011, partono migliaia e migliaia di profughi verso le nostre coste, costruendo e rafforzando una solida rete di commercio e tratta di esseri umani. Un esodo che ci tocca molto da vicino e di fronte al quale l’Europa ha prestato un’attenzione insufficiente, dimostrando di avere pochi strumenti a sua disposizione.

Ma sono stati i ben conosciuti e terribili atti barbarici dello Stato islamico, quasi la goccia che ha fatto traboccare il vaso, a far scattare, nella regione, una reazione di guerra. L’attentato, a gennaio, all’hotel Corinthia di Tripoli, rivendicato dal sedicente «Califfato di Derna», una componente locale dello Stato islamico, la decapitazione di 21 egiziani cristiani copti in questi giorni, e il rapimento di altri 35 lavoratori egiziani hanno fatto scattare l’intervento militare egiziano. Un intervento che ridefinisce l’impegno regionale nella coalizione internazionale creatasi nel settembre del 2014 e guidata in particolare dagli Stato Uniti per combattere appunto, lo Stato islamico in Iraq e in Siria. Sullo stesso fronte anche la Giordania, impegnatasi con nuovo vigore militare dopo la decapitazione di un loro pilota.

Di fronte all’aggravarsi di questa situazione nell’area mediterranea si sono messe in moto, ad oggi ancora in ordine sparso, iniziative diplomatiche e preparativi per eventuali interventi militari. Egitto e Francia hanno sollecitato un intervento del Consiglio di sicurezza dell’ONU, dove sembra acquisito un consenso favorevole della Russia, scontato quello della Gran Bretagna, in attesa di conoscere la risposta della Cina. L’Italia, dopo essersi dichiarata disponibile a un intervento militare per bocca dei suoi ministri degli esteri e della difesa, ha sospeso la sua decisione alle garanzie di legalità sollecitate all’ONU e, più ancora, all’intensificazione di iniziative diplomatiche per conoscere meglio la complicata situazione in Libia e la disponibilità di altri Paesi a entrare in una coalizione che esigerà l’impiego di molte risorse economiche e militari. L’Unione Europea, con Federica Mogherini, sta cercando a Bruxelles e all’ONU di valutare la coesione politica dei Paesi interessati ad impegnarsi sul fronte libico, senza precipitare l’opzione militare che sta a cuore agli USA.

Appena avviata la fragile tregua in Ucraina, l’UE è adesso alle prese con i focolai di guerra alle sue frontiere a sud – est: è auspicabile che tutti i Paesi europei mettano su questo fronte almeno lo stesso impegno messo a nord per la salvaguardia della pace in Europa.

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