Il traumatico episodio della nave Diciotti ha senz’altro segnato uno dei momenti più bui della storia recente del nostro Paese, della nostra democrazia e del rispetto dei diritti umani.
Al di là del comportamento del Governo, dell’intolleranza più ottusa di fronte ad un fenomeno che prelude a significative sfide future per tutti i Paesi europei in termini politici, economici, culturali e umanitari, vale la pena riflettere qui su alcuni aspetti di questo flusso migratorio che, in gran misura, parte dalla Libia.
Le cifre del Ministero degli Interni ci dicono infatti che i due terzi dei migranti arrivati nel 2018 sulle coste italiane provenivano dalla Libia e sono cifre in continua e netta diminuzione rispetto ai due anni precedenti. Si tratta di risultati frutto di una politica iniziata in Italia nel lontano 2008 e riconfermata, alla luce di nuovi e forti flussi migratori, nel febbraio 2017 con il “Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra il Governo di Riconciliazione nazionale dello Stato di Libia e il Governo della Repubblica italiana”.
Un accordo che, in sostanza, assegna il controllo delle partenze dal Nordafrica alla guardia costiera libica e si inserisce in quella inquietante e più vasta politica perseguita non solo dall’Italia, ma dalla stessa Unione europea, di affidare ai Paesi d’origine o di transito il controllo delle frontiere per bloccare, o almeno ridurre, le partenze dei migranti.
In questi ultimi mesi la politica italiana si è, per varie ragioni, bruscamente e assurdamente inasprita al riguardo, fino a vietare, per giorni, lo sbarco di migranti tratti in salvo da una nave della Marina militare italiana. A bordo rifugiati in gran parte eritrei, legittimamente in fuga da una feroce dittatura e con il sacrosanto diritto di chiedere asilo e protezione internazionale.
L’accordo con la Libia pone tuttavia in evidenza il quesito sulle condizioni di accoglienza dei migranti in transito in Libia e desiderosi di raggiungere l’Europa. Numerosi i rapporti che denunciano le condizioni disumane nei centri di detenzione, dove i migranti vengono trattati come ostaggi dai trafficanti di esseri umani e dove la tortura, lo stupro e la mancanza di minime e dignitose condizioni di vita sono la regola. Un recente appello di “Medici senza frontiere” chiede all’Europa intera di riconoscere ufficialmente che la Libia non puo’ essere considerata un Paese sicuro e di cercare soluzioni alternative in grado di garantire un’accoglienza più dignitosa e rispettosi dei diritti umani per i richiedenti asilo.
La Libia, Paese ricco di petrolio, vive da sette anni a questa parte una situazione di forte instabilità politica, di vive tensioni interne e di conflitti armati fra numerose milizie appartenenti alle varie tribù del Paese. Due i Governi che dividono il Paese, alla ricerca di legittimazione per il controllo dell’insieme del territorio libico e delle sue risorse : il Governo di Accordo Nazionale di Fayez al Sarraj, con sede a Tripoli (Ovest del Paese) e riconosciuto dalla comunità internazionale, e il Governo provvisorio con sede a Tobruk, sostenuto dall’uomo forte della Cirenaica, il maresciallo Khalifa Haftar.
Vani fino ad oggi i tentativi della comunità internazionale e in particolare della Francia, di porre fine alle divisioni del Paese e di iniziare un percorso di transizione politica e di unità nazionale. Unica fragile prospettiva in cantiere, voluta in particolare dal Presidente Macron, è la tenuta di elezioni il prossimo 10 dicembre, un obiettivo carico di incognite viste le profonde divisioni che sussistono nel Paese e la molteplicità di attori coinvolti non proprio disposti a deporre le armi. Al riguardo infatti, proprio in questi giorni si sta consumando una violenta battaglia fra milizie a Tripoli, che ha già causato la morte di una quarantina di persone.
E’ indubbio che la stabilità della Libia sia un nodo centrale per la stabilità dell’intero Nord Africa e del Sahel. E’ importante anche per l’Italia e per l’Europa, con la coscienza tuttavia che la strada per la pace sarà lunga e complessa perché dovrà portare al tavolo dei negoziati tutti i protagonisti coinvolti. E’ lecito quindi, in una prospettiva a lungo termine, chiedersi se esistano le condizioni di dialogo e di sicurezza sufficienti per indire, fra pochi mesi, le elezioni. O se, non sia più lungimirante riunire, fin da ora, tutti gli sforzi diplomatici dell’Europa per preparare un terreno più solido ad una nuova e democratica unità nazionale.