Dagli USA ci separa ancora un oceano

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C’era molta attesa la settimana scorsa per il voto del Parlamento europeo sul negoziato in corso del TTIP (TransatlanticTrade and Investement Partnership), l’Accordo commerciale transatlantico destinato a creare un mercato unico tra USA e UE.

All’ultimo momento non se n’è fatto niente, troppi gli emendamenti proposti alla sessione plenaria di Strasburgo, troppo grandi le distanze tra i diversi Gruppi politici, compreso tra popolari e socialisti, vincolati dal perenne tentativo di confermare il loro “condominio” al Parlamento europeo. Pesavano soprattutto le divisioni all’interno del Partito socialista europeo, diviso sul negoziato tra favorevoli critici e oppositori ancora incerti. Così la presidenza del Parlamento, prendendo spunto dai molti emendamenti destinati al voto, ha deciso di rinviare l’argomento a una prossima sessione, forse già a luglio, nella speranza di qualche compromesso in più.

La strada del negoziato resta tutta in salita: cresce l’opposizione di molti movimenti della società civile, sulle due sponde dell’Atlantico e mantengono una posizione fortemente critica sindacati e chiese, preoccupate per l’abbassamento degli standard sociali, delle garanzie sanitarie, delle regole ambientali e, in una parola, per il logoramento del modello sociale e culturale europeo, non ancora del tutto vittima delle priorità dell’economia e del commercio.

Una preoccupazione che si estende anche al tramonto degli accordi multilaterali globali, con il rischio di accrescere conflitti tra le diverse aree economiche, per alcuni fino a minacciare la pace.

La sostanza del negoziato verte sulla creazione di un unico mercato di libero scambio USA-UE, con la soppressione di barriere non solo tariffarie, ma anche relative a differenze nei regolamenti tecnici, nelle norme e procedure di omologazione. Come sempre in questi accordi detti di “partenariato” è probabile che ne esca vincente il partner più forte, in questo caso gli USA, riportando il dollaro al centro della politica monetaria e inducendo nelle politiche sociali e ambientali un movimento verso il basso per allineare standard europei e americani.

Sono cresciute col tempo, insieme con le critiche dei partiti progressisti europei e americani, le mobilitazioni della società civile, ma ancora troppo scarsa è l’attenzione dell’opinione pubblica, alimentata da media prevalentemente orientati in favore di un’opzione libero-scambista, per non parlare delle multinazionali e delle molte lobbies a loro servizio.

Agli occhi dei movimenti della società civile europea e americana hanno inciso molto negativamente le condizioni di semi-clandestinità in cui si sono svolti i negoziati, inizialmente tenuti nascosti, dalla precedente Commissione europea, anche al Parlamento europeo e solo recentemente resi parzialmente pubblici. Una scelta che ha irritato l’Assemblea di Strasburgo e che potrebbe incidere sulla ratifica finale, rispetto alla quale il pronunciamento parlamentare è vincolante.

Nel frattempo si è registrato a Washington il rifiuto di molti democratici di seguire Obama verso l’adozione di un Accordo simile per l’area del Pacifico, un accordo sostenuto invece dai conservatori: un messaggio chiaro anche per le forze del progresso in Europa.

C’è ancora un po’ di tempo perché i cittadini europei facciano sentire la propria voce e perché l’oceano che ci separa, non solo geograficamente, ci serva di protezione o che, almeno, non sia il luogo dove rischia di affondare quello che resta della cultura e del modello sociale europeo.

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