Corea del Nord: così lontana e così vicina all’Europa

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Distratti dalle grottesche lamentele anti-fisco dei molti «poveri ricchi» di questo Paese o dalla crescente indecenza dei reality show che da soli meriterebbero di veder radicalmente riformata questa nostra TV «deficiente», a più d’uno potrebbe essere sfuggito quanto sta accadendo in Corea del Nord, nel lontano Estremo Oriente, comprese le ricadute che tali eventi potrebbero avere nel vicino Medioriente.
Ma andiamo con ordine. La Corea del Nord è un Paese di 23 milioni di abitanti, un terzo dei quali o militari di professione o riservisti pronti ad imbracciare le armi al primo cenno di un dittatore comunista delirante, che governa un popolo letteralmente decimato dalla carestia appena dieci anni fa e che oggi per un chilo di mele deve sborsare metà   del salario mensile e un quarto per un chilo di riso: da chiedersi come possa arrivare alla fine del mese con il quarto che gli resta, pari alla bellezza di quattro euro. Ebbene questo Paese, ormai isolato dal mondo e ridotto alla fame, si è potuto permettere la realizzazione, si stima, di otto bombe nucleari e, qualche giorno fa, nonostante le forti pressioni internazionali, ha eseguito il suo primo test atomico.
Il guaio è che la Corea del Nord non è la sola al mondo a gingillarsi con il nucleare militare: USA, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna (per citare solo i Paesi che siedono con diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU) detengono tuttora, nonostante il processo di disarmo, oltre 17.000 (diciassette mila) testate nucleari e per tenersi in allenamento hanno realizzato ad oggi circa 2.000 (duemila) test con tutte le pesanti conseguenze che sappiamo sulle persone e sull’ambiente.
E come se tutti questi inquietanti fuochi d’artificio non bastassero, altri Paesi, che non aderiscono al Trattato di non proliferazione del 1970, si stanno costruendo le loro brave atomiche: è il caso, a cominciare dai più armati, di Israele (con oltre 150 testate nucleari, poco meno della Gran Bretagna), India, Pakistan e, ultima arrivata, la Corea del Nord, mentre si scalda i muscoli l’Iran e ci sta pensando anche l’Egitto.
Questo il contesto entro il quale si colloca la grave crisi internazionale in corso e che nessuno si illude sia finita con la risoluzione 1718 appena adottata all’unanimità   dal Consiglio di sicurezza dell’ONU. Questo, ancora una volta, è stato chiamato a trovare un compromesso difficile tra la Cina e la Russia, anche troppo comprensive con la Corea del Nord e gli USA, affiancati dalla Gran Bretagna e, in questo caso, dalla «piccola potenza nucleare» francese. Ne sono scaturite sanzioni dai toni verbali severi, ma dalle misure piuttosto blande se rapportate alla pericolosità   della situazione e ai rischi del terrorismo internazionale.
Quale provvisorio bilancio trarre da tutta questa vicenda? Alcuni elementi di valutazione si impongono all’attenzione:
1. Nonostante ritardi e contraddizioni l’ONU si conferma un passaggio obbligato per affrontare i conflitti internazionali, come avvenuto nel caso israelo-libanese. Ma con l’imbarazzo per i cinque membri con diritto di veto di essere anche contemporaneamente detentori di migliaia di testate nucleari e responsabili ciascuno di centinaia di test atomici.
2. Gli USA, in difficoltà   in Iraq, sono costretti ad abbandonare le loro pretese unilaterali e riprendere la strada del dialogo negoziale, meglio se affiancati da altri Paesi.
3. La Cina e la Russia colgono l’occasione per rafforzare il loro ruolo nell’area asiatica, anche in competizione tra loro.
4. Il Giappone, pericolosamente vicino alla Corea del Nord e incerto sull’effettiva protezione che puಠassicurargli un Bush al tramonto, coglie l’occasione per riarmarsi e ritrovare il suo antico nazionalismo.
5. Gran Bretagna e Francia, che a fronte degli altri tre Grandi non fanno il peso, adottano un ruolo gregario rispetto agli USA, ipotecando così la loro autonomia nell’incombente crisi nucleare iraniana.
6. L’Iran a sua volta conta i punti che puಠricavare dalla vicenda e rafforza le sue rivendicazioni a proposito del nucleare.
Molto altro si potrebbe dire in proposito, ma una domanda qui ci interessa in particolare: e l’Europa in tutto questo che ruolo ha giocato o potrebbe giocare?
La risposta è purtroppo senza sorprese: al di là   di vibranti parole di condanna delle Istituzioni Ue e di qualche scoordinata iniziativa nazionale, nessun ruolo o quasi. E non vale per scusare questa assenza la distanza del teatro asiatico dal continente europeo, un po’ perchà© per la potenza del nucleare questo nostro mondo è tremendamente piccolo, e un po’ perchà© l’Iran è tremendamente vicino e potrebbe essere il protagonista della prossima puntata della proliferazione nucleare.
Resta allora da chiedersi che cosa l’Ue potrebbe fare su questo fronte sempre più caldo. In estrema sintesi due cose: ripensare una sua presenza nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, non come somma di alcuni suoi Stati membri ma come presenza unitaria (e per un seggio europeo lavora l’Italia, che sarà   nel Consiglio di sicurezza a partire dal gennaio prossimo) e, per far questo, dotarsi progressivamente di una politica estera e di sicurezza comune. Due obiettivi su cui investire da subito, prima che sia troppo tardi perchà©, a ben pensare, la lontana Corea del Nord è maledettamente vicina all’Europa.

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